Immagine di copertina: occhiali poggiati su un libro.

Comunicare è costruire fraternità

Luce e Amore  Anno LXXI - N. 1 Gennaio/Marzo 2021
Pubblicazione trimestrale del Movimento Apostolico Ciechi

 

La carità si rallegra nel veder crescere l’altro. Ecco perché soffre quando l’altro si trova nell’angoscia: solo, malato, senzatetto, disprezzato, nel bisogno… La carità è lo slancio del cuore che ci fa uscire da noi stessi e che genera il vincolo della condivisione e della comunione. 

Papa Francesco 

 

 

SOMMARIO

◼︎EDITORIALE

- - Il simbolico e la comunicazione 
di Francesco Scelzo

◼︎LA PAROLA E LA VITA

- Comunicare la fede
di don Alfonso Giorgio

◼︎InFORMAZIONE e ...

- LIV Giornata Mondiale per la Pace: un modo diverso di camminare insieme per la pace
di don Renato Sacco

- Miriam, Tessa e ... Papa Francesco Una storia di vita e il Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale del Malato
di Elisa Vischetti, Giulia Civitelli e Salvatore Geraci

◼︎SPECIALE
La comunicazione umana nel tempo dei “sentieri interrotti”
Mettersi seduto per fare spazio all’altro e al Creato

- La pandemia ha cambiato comunicazione e comunicatori: come reagire?
di Vittorio Sammarco

- Comunicazione 4.0 – oltre il marketing delle tecnologie
di Alex Giordano

- L’avvento della pandemia e i media come rimedio
di Marica Spalletta

- Comunicare il bene nell’universo digitale
di Massimiliano Padula

- Opportunità e “rischi” della comunicazione on line: puntare sulla formazione
di Fabio Bolzetta

- La comunicazione come scienza e come via per fare comunità
di Veronica Petrocchi

- La comunicazione politica: croce e delizia della nostra democrazia
   Intervista a Francesco Giorgino a cura di
a cura di Giovanni Sammarco

◼︎PROMOZIONE SOCIALE IN ITALIA

- Un segno di speranza in questo tempo di pandemia 
di Cristiano Alrossi 

 - Le persone con disabilità protagoniste attive della vita parrocchiale
di Katiuscia Betti

- L’assemblea del MAC in tempo di pandemia: una preziosa occasione di formazione e scambio
di Michela De Rosa 

◼︎RACCONTI DAL TERRITORIO

Treviso

- festa di santa Lucia 
di Roberto Fornasier 

Torino

- una campagna emozionante e sorprendente 
tratto da Paideia news gennaio 2021 

◼︎COOPERAZIONE  TRA POPOLI E PROGETTI

- Accesso alla salute e vaccinazione anti-covid in Africa 
di Dante Carraro

◼︎RACCONTI DAL SUD DEL MONDO
- Ad Adigrat: la guerra in … casa 
di suor Ascenza Tizzano 

-Guerra e disabilità: in Siria l’unico spiraglio è la solidarietà 
di Riccardo Camilleri 

◼︎L' INTERVISTA

- “Verso la libertà” una pubblicazione
di Gianlorenzo Casini 

 

Editoriale

di Francesco Scelzo 

Il simbolico e la comunicazione 

La comunicazione e le sue problematiche non sono realtà esclusive del nostro tempo; sono questioni dell’uomo fin dalla sua origine e in tutti i tempi. Comunicare è essenzialmente costitutivo all’essere umano e da sempre è strumento di collegamento, di legame, di rete e da sempre si manifesta come spettacolo nel significato proprio del termine. Non è, perciò, fenomeno del nostro tempo; nel nostro tempo si colora o si declina secondo i mezzi di questo tempo: la Chiesa di Gregorio Magno raccontava la Bibbia con le vetrate, oggi il Papa usa twitter o le videoconferenze, così come Pio XII usava i radiomessaggi.

La comunicazione, oggi come sempre, è parole e immagini e si diffonde tramite canali; i canali si adeguano ai tempi e sono i mezzi dell’uomo per poter esprimersi, trasmettere il proprio pensiero, raccontare la propria esistenza. L’uomo è immerso nella rete di legami con gli altri e con l’ambiente. Egli ha la capacità di mettere insieme, di collegare, di unire, cioè, di simbolizzare. Se comunicare è l’azione del mettere in comune, di unire, questa è attività simbolica e costitutiva dell’uomo che attraverso la comunicazione entra in rete, in contatto con l’ambiente e con gli altri, cogliendo e dando significato e senso a questi legami, a queste reti. Il contatto, il legame passa attraverso i canali della comunicazione: parole e immagini. Lo spettacolo, il racconto per immagini, è il luogo proprio della comunicazione. Lo svuotamento di significato e l’annientamento del simbolico danneggia la comunicazione nel nostro tempo; nei talk show televisivi si celebra la chiacchiera, la prevaricazione a danno della comunicazione, del mettere in comune, del dialogo. L’assenza del simbolico esalta il soggettivismo narcisistico di chi non comunica, di chi non desidera mettere in comune nulla ma solo affermare se stesso e le proprie convinzioni, incurante del contesto e dell’altro.

Comunicare è fare spettacolo; ciò non può ridursi a uno show di chiacchiera o alla sola capacità di fare mercato, alla capacità di far consumare e solo a questo scopo investe le relazioni, i rapporti tra gli uomini. Comunicare è uno strumento sul cui fine, sul cui utilizzo è opportuno interrogarsi. La comunicazione non si può ridurre a marketing; la comunicazione è un’arma potente nelle mani dell’uomo, come sempre, come in ogni tempo. Anche in presenza della pandemia o della disabilità o di eventi tragici la comunicazione viene utilizzata spesso a scopo consumistico o di chiacchiera. Annullare la capacità dell’uomo di fare rete, di costruire legami è funzionale al progetto politico di chi propone una comunicazione orientata al marketing e alla chiacchiera. Scopo di chi vuole questo tipo di comunicazione è annientare i legami, le radici, la storia in cui l’uomo è immerso, ogni senso di famiglia, di comunità. Si fa strada, come scrive Papa Francesco in “Fratelli tutti”, la perdita del senso della storia e di ogni forma di impegno a costruire legami di fraternità e di comunità. Egli scrive: “Si avverte la penetrazione culturale di una sorta di “decostruzionismo”, per cui la libertà umana pretende di costruire tutto a partire da zero” (13). La libertà perde il proprio significato vero per cui l’uomo è chiamato a prendersi cura di se stesso, degli altri e del Creato, e ciò appare chiaro nella comunicazione che è espressione propria dell’uomo che in essa si manifesta.

La comunicazione vera è sempre utilizzazione dell’immagine, anche quando si usano le parole, per trasmettere, per comunicare cioè un racconto, un evento, un pensiero che coinvolga l’altro, il destinatario della comunicazione e perciò attiva canali di collegamento, reti di legami; la comunicazione, come canale e come immagini, racconta ed esprime l’uomo nella sua evoluzione. Maestra di ciò è la Chiesa cristiana; da sempre, fin dalle origini, ha curato la “traditio”, la Tradizione cioè la comunicazione dei contenuti del “kèrigma”, i contenuti della Fede; da sempre ha curato i canali di trasmissione dei contenuti della Fede istoriando le vetrate, utilizzando pitture, costruzioni, curando anche la ritualità del parlare e l’uso delle parole: basti pensare ai pulpiti da cui i predicatori tenevano i loro discorsi, le prediche.

L’ultima Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, sia pure in modo indiretto, è un forte richiamo a una comunicazione vera e “umana”. Per comunicare, egli scrive: “C’è bisogno di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana” (43).

La comunicazione è attività simbolica, è mettere insieme, è aprirsi all’altro, è manifestazione ed espressione di senso; la comunicazione deve costruire e non de-costruire, distruggere, è via e canale di legami e non frammentazione e opposizione o prevaricazione. La comunicazione è racconto di sé nel tempo e nella storia; la comunicazione di oggi racconta e rivela chi è l’uomo del nostro tempo.

La Parola e la vita

Una Chiesa in rete

di don Alfonso Giorgio

Il perdurare della pandemia ci sta facendo sperimentare al di là di ogni avversità l’importanza di incontrarci, di vederci, di toccarci, di abbracciarci. Quello che prima ritenevamo normale, magari scontato, oggi diventa desiderio, sogno ancora irraggiungibile.

È un periodo difficile, ma non per questo vuoto di significati. Anzi, la situazione contingente ci permette, paradossalmente, di entrare ancora più intimamente in contatto con Cristo: “connessi con Lui”. È un’occasioneche il Signore ci offre per disporci a condividere la sua passione, ossia la totale consegna di sé. Potremo così imparare a consegnarci alla Sua volontà, e a constatare i fermenti di vita nuova, frutto della sua Risurrezione, che oggi già alimentano la vita della Chiesa e del mondo, al di là delle privazioni che stiamo sperimentando. “Niente è impossibile a Dio” aveva dichiarato l’angelo a Maria e “niente accade senza che Dio lo permetta”, scriveva Madelaine Delbrêl (A. M. M. Delbrêl, Invisibile amore, Piemme, Casale Monferrato 1994, 91).

Valorizzazione della crisi come tempo di sfida

Papa Francesco ha commentato che: “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi” (Francesco, Omelia S. Messa solennità di Pentecoste, 31 maggio 2020). In effetti quello che stiamo vivendo è un tempo in cui si può guardare avanti con fiducia senza tener conto di quanto accaduto, “come nulla fosse” oppure prendere coscienza della situazione ed evitare la fuga verso utopie consolanti e irraggiungibili. Sicuramente il modo più giusto per affrontare la realtà è non sottrarsi ad una necessaria riflessione: la coessenzialità del limite alla nostra dimensione di essere umani e, per altro verso, l’osservazione delle miserie del tempo presente, che nonostante tutto ha avuto impatti significativi anche sulla nostra dimensione interiore. Se l’urgenza dei molteplici problemi del presente e quelli ampliati dalla pandemia ci impedisce di guardare lontano e di scavare nella nostra interiorità, dove si attingono quelle risorse necessarie per progettare e programmare insieme un futuro migliore, la storia ci insegna - come è accaduto durante e dopo le guerre - che proprio durante o all’indomani di grandi tragedie la nostra civiltà è stata capace non poche volte di rialzarsi e concepire i progetti e le visioni migliori, impegnandosi ad attuarli con libertà di spirito e leale collaborazione.

Urge allora aiutarsi vicendevolmente nella ricerca dei segni di speranza, dentro la complessità di questo tempo che dobbiamo assolutamente decifrare, seppure con grande fatica. In quanto credenti, infatti, non possiamo tralasciare questa occasione di ripensamento missionario della nostra pastorale, del nostro modo di fare associazione e del nostro agire ecclesiale, oltre che l’occasione preziosa di un confronto sereno con gli uomini e le donne del nostro tempo che, a volte, attendono proprio da noi qualche risposta o una corretta interpretazione degli eventi.

Tutto è connesso

Intanto la tecnologia c’è ed è conosciuta ormai da tutti. È una modalità dalla quale non si può prescindere se si vuole mantenere un minimo di contatto con gli altri; nessun ambito aggregativo può farne a meno: prima fra tutti la scuola oltre al mondo del lavoro, il mondo ecclesiale, le varie amministrazioni, ecc.
Nell’uso dei mezzi tecnologici è entrato in gioco in modo potente un fattore personale non esclusivamente riducibile ai soli termini anagrafici. Nel valutare la confidenza e la facilità con cui i nuovi strumenti vengono utilizzati, la differenza tra le nuove generazioni (i cosiddetti nativi digitali) e le generazioni meno giovani è decisiva, ma non la sola. Va infatti aggiunta un’altra differenza che riguarda la sfera personale e cioè il livello di disponibilità individuale verso il nuovo e la più o meno accentuata capacità di chiedere e ricevere aiuto da chi è più abituato alle tecnologie.

Su questo terreno, nella situazione di estrema necessità che si è creata durante la pandemia, le generazioni più giovani (per così dire, i nipoti, o addirittura gli alunni accanto ai docenti più anziani) hanno spesso guidato quelle più anziane. Questa esperienza sta rivelando aspetti inediti e di grande valore in riferimento al dialogo tra le generazioni e la valorizzazione dei giovani. Si tratta di un dato importante, che sicuramente aiuta a ridimensionare posizioni pregiudiziali e a inquadrare più correttamente i termini della riflessione. Abbiamo capito che si devono abbandonare gli schemi del comportamento a cui siamo abituati da tempo immemorabile e che, a fatica, riusciamo a lasciarci alle spalle. Gli strumenti ci sono ormai per tutti – salvo qualche eccezione – anche se in Italia non primeggiamo tra coloro che conoscono ed utilizzano le risorse digitali. Il virus, però, è stato capace di metterci subito sul terreno e al lavoro per entrare più rapidamente in questa rete quanto mai necessaria e irrinunciabile. Siamo tutti connessi e “tutto è connesso”, quindi ci troviamo in una situazione nuova che mette in luce rapidamente i comportamenti e le scelte di tutti: l’impegno o il disimpegno dei singoli e le ricadute positive o negative sugli altri. Una situazione che, paradossalmente, muove più profondamente le coscienze, poiché il dovere di proteggere se stessi, nella rete, appare ancora più legato all’impegno di responsabilità verso gli altri.

Problemi di connessione

D’altro canto bisogna dire che a ben guardare, nonostante l’agilità e la rapidità dei contatti sulla rete, soprattutto con quelle persone che prima risultavano irraggiungibili, ugualmente abbiamo “problemi di connessione”, anche se non si tratta di quelli generati da internet. Sono le paradossali difficoltà di comunicazione intrafamigliari che vengono allo scoperto o che si acuiscono in contesti di eccessiva vicinanza nelle mura domestiche. Per cui può verificarsi che un bambino, un adolescente o un giovane siano presenti solo fisicamente nelle mura di casa ma, di fatto, lontani dal cuore dei propri cari perché trascurati dagli stessi, magari proprio a causa dello stato generale di frustrazione; questi il più delle volte sono soli con il proprio Tablet, con il computer o con lo Smartphone.

Si fa strada facilmente l’illusione che la realtà sia il mondo virtuale che allontana dagli altri e soprattutto da chi ti sta più vicino. Ecco perché non bisogna assolutamente perdere quest’occasione per stare di più con gli altri, a cominciare dai propri cari, privilegiando l’ascolto e la vicinanza rassicurante e gioiosa. Le notizie che riceviamo registrano situazioni a dir poco allarmanti, derivate dalla solitudine, dall’isolamento sociale forzato, dall’aumento delle malattie legate al disagio mentale e da tante altre nuove povertà. Sono soprattutto i malati, le persone con disabilità, gli anziani, i giovani, gli adolescenti, le famiglie ridotte in povertà dalla crisi economica, le categorie che particolarmente ci interpellano. In questo contesto, dopo quasi un anno di lockdown, sono ancor più i bambini a pagare il prezzo più alto. È stato loro tolta la possibilità di stare con gli amici, per cui le occasioni di gioco di gruppo sono pressoché inesistenti e la solitudine aumenta. In alcuni casi l’unico modo per stare con gli altri è l’utilizzo dello Smartphone che troppo precocemente è stato loro consegnato. Da un punto di vista psicologico è noto che un bambino troppo piccolo non è in grado di sostenere certi dinamismi insiti alle attività virtuali e, di conseguenza, non riesce facilmente e mentalmente a operare una distinzione netta tra virtuale e reale. Se poi a questo si aggiunge un disagio famigliare o una qualche sofferenza personale, gli esiti possono essere veramente devastanti. Può accadere che un gioco online si trasformi in una tragedia mortale come è accaduto recentemente a Palermo e a Bari. Viviamo un tempo assurdo che “ci sta rinchiudendo nelle nostre paure”, ha affermato l’arcivescovo di Bari, mons. Giuseppe Satriano, “incapaci come siamo di affrontare la vita con il coraggio di educare, mettendoci in gioco e offrendo opportunità qualificate che sostengano e tutelino il cammino dei più fragili, dei più piccoli, tra noi” (G. Satriano, Omelia al funerale del piccolo Pietro, 30 gennaio 2021).
All’interno delle criticità che attraversiamo, allora è necessario rimanere uniti, “connessi” appunto, al fine di affrontare le diverse fragilità in modo che nessuno sia lasciato solo di fronte allo scombussolamento psicologico, economico e spirituale che stiamo sperimentando.

Uniti per testimoniare il Cristo Risorto

Il nostro compito di cristiani è testimoniare la gioia del Risorto (Cfr. Statuto del Movimento Apostolico Ciechi) restando uniti, anche in mezzo a tante sofferenze. Dovremmo essere una presenza di amore e di speranza per tutti, anche per i dubbiosi e gli incerti. Ma dove trovare le forze? Dove attingere il coraggio e la gioia di testimoniare? Mentre “la connessione digitale non basta per gettare ponti, non è in grado di unire l’umanità” (Francesco, Fratelli tutti, n.43), la connessione con Dio, invece, nella preghiera, libera il cuore da ogni pesantezza spirituale e morale e lo rende capace di comunicare con tutti al di là di ogni limite o difetto di connessione.

 

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