La foto di copertina rappresenta una catasta di sassi che si tiene in equilibrio grazie alla posizione di ciascun elemento, pena il crollo dell’intera struttura. Simboleggia la funzione fondamentale del singolo all’interno dell’insieme di cui fa parte.

“Responsabili gli uni degli altri” 

Luce e Amore Anno LXXII - N.3 Luglio/Settembre 2022
Pubblicazione trimestrale del Movimento Apostolico Ciechi

“Abbiamo a disposizione un tesoro di
vita e di amore che non può ingannare,
il messaggio che non può manipolare 
né illudere. È una risposta che scende 
nel più profondo dell’essere umano 
e che può sostenerlo ed elevarlo. 
È la verità che non passa di moda 
perché è in grado di penetrare là dove nient’altro può arrivare. La nostra 
tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore.” 

Papa Francesco (Evangelii gaudium, n. 265)

 

 

SOMMARIO

◼︎EDITORIALE

- La cultura di lotta e di opposizione e il dominio di sé
di Francesco Scelzo

 

◼︎LA PAROLA E LA VITA

- Fraternità cristiana responsabilità e diversità
di don Alfonso Giorgio

◼︎InFORMAZIONE e ...

- Sacra Scrittura e psicoanalisi. Recalcati e la Bibbia: una lettura capace di generare
tratto da Avvenire, 23 giugno 2022

- Libertà, passione per la vita e coraggio nelle parole di Papa Francesco alle famiglie radunate per il X Incontro Mondiale
di Mariagrazia Vergari

- I più poveri e i più fragili misura per una nuova economia
di Fabio Zavattaro

- Il cambiamento possibile nelle parole di Papa Francesco pellegrino di pace e di dialogo
di Francesca Di Maolo

◼︎SPECIALE Condivisione 2022
Il MAC si ritrova in presenza nell’annuale incontro associativo delle Giornate Nazionali della Condivisione

- Le Giornate di Assisi: stimoli, domande e provocazioni
di Arianna Ranauro

- Veglia di preghiera - “La casa costruita sulla roccia”
di Michela De Rosa

Progetto Autonomie Possibili: lavoro in rete e multidisciplinarietà di Eugenio Tomasoni

- Le famiglie si raccontano: vivere la disabilità nella vita quotidiana
di Giuseppe Manzella

- Eucarestia a conclusione delle Giornate di Assisi
di Giorgio Maretti/strong>

◼︎PROMOZIONE SOCIALE IN ITALIA

- L’inclusione dei disabili in un convegno parrocchiale
di Monica Groppelli

- Famiglie e comunità parrocchiali protagoniste di inclusività nel convegno della Diocesi di Milano
di Mariagrazia Seva

- Interessante iniziativa della Fondazione MAC Insieme in Provincia di Varese
di Davide Orazi

- MIXT – musei per tutti, il MAXXI di Roma si apre ad un progetto sperimentale
di Agostino Falco

COOPERAZIONE TRA POPOLI E PROGETTI 

- Quando riacquistare la vista non è un’illusione
di Violetta De Filippo

- Quello che non si vede … - La drammatica povertà dell’Africa che torna indietro
Lettera appello di Dante Carraro

◼︎RACCONTI DAL TERRITORIO

Le giornate di spiritualità a Corbiolo: una testimonianza
di Lucia Vinci

I gruppi di Sanremo e Savona si incontrano in presenza
di Sara Giordano e Maria Teresa Trapasso

Il MAC di Arezzo e di Fiesole a La Verna
di Luigi Vieri

Catania

un weekend in amicizia e con vera gioia
di Francesca Sgambato

Venezia

– il gruppo incontra il Patriarca
di Luigi Saccoman

Editoriale

di Francesco Scelzo 

La cultura di lotta e di opposizione e il dominio di sé

editoriale luce e amore 3 2022, Immagine di un povero seduto in terra nella strada di una grande città che chiede l'elemosina tra l'indifferenza generale

Perché la modernità e il Cristianesimo sembrano essere, o sono, inconciliabili? Perché la modernità, spesso, è aspramente avversa al Cristianesimo? Perché la Chiesa Cattolica è stata, spesso, diffidente nei confronti della modernità?.

La vicenda dell’uomo non è mai cristallizzata e circoscritta al solo tempo della sua vita; i nostri comportamenti, l’uomo del nostro tempo è immerso nella civiltà e nella cultura che è ben più estesa del tempo della propria esistenza. Spesso, oggi, avvertiamo un senso di “sentieri interrotti”: si parla di frammentazione delle relazioni o di legami deboli; ci cogliamo spesso smarriti di fronte a eventi che ci sembrano incomprensibili, come la guerra appena scoppiata in Europa tra Russia e Ucraina, come le numerose guerre nel mondo; ci sembra sconcertante qualche posizione politica di fronte ai numerosi morti sepolti nel nostro mare; è sconcertante la disuguaglianza economica e di opportunità tra le persone, tra chi nuota nella sovrabbondante ricchezza e chi muore per fame; lo scarto e l’indifferenza, il soggettivismo e il narcisismo sembrano avvolgere la nostra vita. Tutto si colloca in una visione del mondo e della storia che deriva dal tempo nel quale viviamo e che viene identificato come età moderna, benché anche quest’epoca, come le altre, va collocata all’interno dell’intera storia umana, è parte di un intreccio.

Dopo il lungo intervallo del Medioevo e la svolta dell’Umanesimo e del Rinascimento ha inizio la modernità che si caratterizza per una antropologia di “dominio”; l’imperativo, per l’uomo moderno, è dominare, sii potente, domina l’altro e domina il mondo. Questa dinamica oppositiva tra soggetto, o come riscontriamo nel pensiero di Cartesio, autocoscienza, e il mondo o realtà estesa è all’origine di un pensiero di lotta e di opposizione, di un pensiero che porterà a una significativa divaricazione fino alla frattura della relazione tra la soggettività e la realtà, tra l’io e il non-io, tra spirito e materia. Quest’epoca si caratterizza, come molte, per una svolta importante a motivo di scoperte, di conoscenze che intervengono in maniera significativa nella vita dell’uomo: l’uomo sperimenta di poter dominare i mari e gli oceani e cambia la relazione tra i popoli e si determina uno sviluppo economico e sociale radicalmente differente dall’epoca precedente. Inizia il tempo del colonialismo e l’economia di mercato si colora in modo differente da quando era nata con l’avvento della civiltà immediatamente dopo il Mille. Alcuni paesi europei, come Spagna, Portogallo, Olanda, Francia, Inghilterra solcano i mari e gli oceani e “conquistano” i territori dell’America, dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania; si celebra la prima rivoluzione industriale. L’unità cristiana dell’Europa si frattura e inizia un periodo di conflitti tra le Nazioni a cui seguirà un periodo di rivoluzioni fino all’inizio del Novecento quando la guerra diventa un metodo per regolare le relazioni internazionali fino a pervadere l’intero secolo ventesimo di centinaia di guerre, oltre alle tre grandi guerre che coinvolgono l’intero pianeta: la Prima e la Seconda Guerra Mondiale e la cosiddetta Guerra fredda.

La civiltà, così rappresentata brevemente e certamente meritevole di approfondimenti, è la trama di un ordito, di un pensiero o di una visione del mondo e della storia che determina questi eventi, l’economia, la politica di questi 400-500 anni. Una nota di essa è il conflitto esplicito o latente tra il Cristianesimo, e il cattolicesimo in particolare, e la modernità, un filo rosso che scorre lungo tutti questi 400 anni con alcune espressioni molto significative, come le valutazioni dell’Illuminismo circa l’oscurità del Medioevo o la definizione della religione cristiana come superstizione fino ad arrivare alla proclamazione della morte di Dio e dell’urgenza di liberare l’uomo dalla religione, nella seconda metà dell’Ottocento.

La visione antropologica di un pensiero di lotta e di opposizione non si concilia con la visione dell’uomo come relazione, con la visione dell’uomo biblico-cristiana e neanche con la tradizione greca, e in particolare ellenistica, della oikeiosis o “conciliatio”.

Lo sviluppo del pensiero da Cartesio, passando per i grandi pensatori come Kant, Hegel e approdando ai “maestri del sospetto”, come furono definiti Marx, Freud e Nietzsche, ha condotto alla convinzione che fosse necessario “spezzare” il legame uomo- Dio. Nel corso del tempo l’imperativo “sii potente” ha significato sviluppare un pensiero del “contro”: la realtà è fatta di opposti che si negano reciprocamente e, pertanto, è necessario che nella lotta prevalga uno di essi. Il più classico, che tutti ricordiamo, dei frammenti di questo pensiero è il paradigmatico rapporto, prima proposto da Hegel e poi ripreso da Marx, tra servo e padrone, tra proletariato e proprietari dei mezzi di produzione.

Altri due frammenti del pensiero, di cui tutti abbiamo fatto esperienza e ricordiamo, sono la divisione politica tra destra e sinistra e la divisione del mondo tra Occidente e Oriente, che oggi è divenuta Occidente e resto del mondo. Questa cultura di lotta e di opposizione tra uomo e Dio, tra servo e padrone, tra destra e sinistra, tra Occidente e resto del mondo ha prodotto una cultura conflittuale con l’obiettivo di affermare uno dei due poli: l’uomo, il servo, la sinistra, l’Occidente o i loro opposti; ovviamente, a tutti non sfuggirà che è stato illusorio. La morte di Dio, esito annunciato e proclamato dai pensatori, il funerale della religione proclamato dagli illuministi non mi sembra siano stati celebrati. Certamente gli esiti di questa cultura di lotta sono stati devastanti per l’uomo moderno, soprattutto nelle relazioni politiche, nelle relazioni economiche, nelle relazioni umane. In questa cultura non c’è spazio per la relazione con l’altro, non c’è spazio per la concilatio degli antichi.

Nella primavera del 2022 è arrivato in libreria, come ormai accade ogni anno, pubblicato da Einaudi, l’ultimo lavoro di Massimo Recalcati “La legge della parola. Radici bibliche della psicoanalisi”.

A giudizio di molti è stato un grande successo; nelle recensioni c’è stata una abbondanza di apprezzamenti al di là di qualche riflessione critica molto puntuale, come quella apparsa su Avvenire a firma di Luigino Bruni.

Da qualche anno Recalcati sta sviluppando un pensiero volto a recuperare e a proporre la “fratellanza”, la cultura della relazione, l’esigenza di non erigere muri e steccati. Anche in questo libro la nota caratterizzante, rappresentata dalla interpretazione dell’episodio biblico della lotta di Giacobbe con l’angelo, è il recupero di un uomo soggetto attivo nella relazione, della propria identità, come espressione del potere che gli è accordato su se stesso. Il dominio di sé e del sé è la fonte della relazione. Nell’episodio della lotta di Giacobbe non è chiaro chi rappresenti l’angelo, certamente Giacobbe lotta contro se stesso, con la propria immagine speculare, con il proprio narcisismo. Finito il combattimento Giacobbe resta ferito; questa ferita, la propria identità ferita lo muta profondamente: reciso un legame con se stesso è pronto a incontrare l’altro, ad aprirsi alla relazione. Questa è la lettura che fa Recalcati dell’episodio e dell’intero libro.

L’uomo moderno ha smarrito il senso di sé; ha smarrito la propria identità chiudendosi in un narcisismo soggettivistico che gli impedisce di aprirsi all’altro. Ha bisogno di ingaggiare una lotta con se stesso per recuperare il dominio di sé e del sé e poter incontrare l’altro, costruire legami, condividere beni e opportunità, abbattere muri e confini.

La cultura di lotta e di opposizione ha costretto l’uomo ad essere sempre in conflitto, sempre in guerra; ha costretto l’uomo a un eterno ritorno di opposti in conflitto al fine dell’annientamento dell’altro, al fine di affermare il dominio sull’altro negando il dominio di sé. Ha prodotto un pensiero nichilista. L’uomo moderno cerca sempre le opposizioni, il mettersi contro, e ciò produce una guerra permanente, produce quella guerra che papa Francesco chiama “guerra mondiale a pezzetti”. I “pezzetti” non sono solo le piccole e grandi guerre tra gli Stati o tra le etnie, ma anche tra i gruppi sociali e politici e persino tra le singole persone; un pezzetto di guerra mondiale è anche lo “scarto” che si perpetra nei confronti dei più poveri e dei più deboli. L’uomo moderno nel processo di annientamento dell’opposto annienta se stesso così come la morte di Dio produce inevitabilmente la morte dell’uomo, l’annientamento dell’altro produce l’annientamento anche di sé.

Questa civiltà di lotta, inoltre, pervade in modo evidente l’economia; è vero che l’economia di mercato nasce nel 1200 con la nascita delle città, e nasce come scambio di merci e di prestazioni, ma con l’età moderna, e a motivo delle scoperte e delle opportunità di navigazione e di commercio, assume un volto diverso allorché lo Stato moderno fa sempre più riferimento ai confini, alle frontiere. L’economia si caratterizza sempre più per la competizione e la concorrenza tra i singoli e tra gli Stati e alcuni di essi diventano potenze economiche a danno di altri e ciò sarà all’origine anche dei grandi conflitti del ventesimo secolo.

È giunto il tempo in cui l’uomo, come Giacobbe, deve riconoscere la propria ferita, deve recuperare il senso vero dell’invito biblico a “dominare” la terra; tale dominio, che gli deriva dall’essere immagine di Dio a motivo della ruah, è capacità critica di riconoscersi libero e responsabile nelle relazioni sociali, nelle relazioni di fraternità, nelle relazioni umane e nella custodia della terra. È dominio di sé e del sé.

L’uomo ha bisogno di una nuova umanità, di un nuovo umanesimo che riscriva una nuova economia e una nuova civiltà: la civiltà della pace e della condivisione che superi la cultura di lotta e la civiltà della competizione, del conflitto. Per questo si spende papa Francesco mentre in questi giorni incontra le altre comunità di fede e sigla con i giovani di “Economy of Francesco” un patto per una nuova economia.

 

LA PAROLA E LA VITA

Fraternità cristiana responsabilità e diversità

di don Alfonso Giorgio

immagine che indica che solo la nostra 'fraternità' e 'responsabilità' può sorreggere il mondo, utilizzata per la parola e la vita di luce e amore 3 2022

Non abbiamo forse tutti noi un solo Padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro, profanando l’alleanza con i nostri padri?”

(Malachia 2,10)

Al di là del contesto storico–biblico di riferimento per questo brano citato, c’è un concetto antropologico-teologico inequivocabile: l’essere “figli” fonda il diritto alla fraternità universale. “Come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità. Siamo convinti che soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra noi. Perché la ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità” (Francesco, Fratelli tutti, n. 272). Perché questa fraternità si attui è necessario, afferma Papa Francesco, essere figli non orfani, per cui senza la presenza di un Padre non ci sarebbe possibilità di fraternità. Lo conferma la Bibbia e in particolare il libro della Genesi quando ci riferisce di Isacco, padre che benedice il figlio Giacobbe destinato a essere padre anche lui, ma di tutto Israele: “Ti benedica Dio onnipotente, ti renda fecondo e ti moltiplichi, sì che tu divenga un’assemblea di popoli” (Genesi 28,3).

Noi tutti, dunque, siamo figli generati dall’unico Dio Creatore e Padre e non possiamo prescindere da questa verità, non possiamo mai diventare noi stessi rescindendo questo legame. Proprio perché Lui ci ha formati “a Sua immagine e somiglianza”, noi siamo fatti per l’Eterno e dunque siamo responsabili della vita che Lui ci ha donato, come pure delle persone con le quali siamo costantemente in relazione, del mondo affidato alle nostre mani, della città in cui viviamo e della comunità cristiana che sostiene e guida il nostro cammino. Il cristiano non può dire: “non mi interessa la vita degli altri, di chi soffre o di chi non è in pace”, perché ne è teologicamente e spiritualmente responsabile. Noi tutti siamo responsabili gli uni degli altri. Il vero cristiano vive nel mondo senza essere del mondo (Cfr La lettera a Diogneto) e questo significa anche essere responsabili della città degli uomini.

Essere cittadini del mondo e comprendere il nostro tempo rientra tra i doveri del cristiano, per cui di fronte alla complessità di un mondo che cambia a livello sociale, economico e politico non ci si può limitare al rifiuto o alla semplice omologazione, come una sorta di celebrazione acritica, ma piuttosto occorre affrontare tutto ciò come una sfida e un impegno per indirizzarne gli sviluppi nella prospettiva di costruire un mondo più fraterno e solidale.

L’episodio biblico legato alla vita dei fratelli Caino e Abele oltre a ricordarci che esiste un legame naturale, dovuto al vincolo di sangue, evidenzia che tutto questo non è ancora sufficiente a garantire una vera relazione fraterna. Sono molti i fattori che rendono faticosa, se non impossibile, la coesistenza e di questi il primo sembra essere proprio la diversità. Fratelli e sorelle si ritrovano ad essere uguali nella loro dignità di figli e figlie, ma questa uguaglianza non garantisce la loro pacifica convivenza.

Il testo biblico lo precisa: “Ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo” (Genesi 4,2). La diversità era già problema all’inizio della storia dell’umanità e ciò che emerge subito in questa prima fraternità è la diversa attitudine lavorativa, che porta con sé una grande differenza culturale e con questa un diverso modo di relazionarsi col mondo.

Abele, in quanto pastore, è un nomade, uno che sistematicamente si sposta per cercare nuovi pascoli, e il fatto che viaggi inevitabilmente lo porta ad ampliare le sue conoscenze imparando così a cogliere ogni cosa come dono di Dio. Caino, invece, in quanto agricoltore, quindi tutto intento a coltivare e a custodire le piante del suo giardino, è un sedentario ed è quindi più propenso a considerare il proprio rapporto con la terra in chiave di possesso. Le proprietà sono sue, i frutti sono suoi, non “i frutti che la terra gli dona per grazia di Dio”. Tutto questo lo convince che il raccolto è dovuto soprattutto alla sua capacità di rendere feconda la terra, con le sue tecniche e il suo lavoro.

Caino e Abele sono fratelli, ma allo stesso tempo sono due mondi culturali completamente diversi. Ci viene spontaneo chiederci se la diversità può costituire un impedimento alla promozione di una vita fraterna o, al contrario, una ricchezza che fa crescere entrambi. Sicuramente la fraternità diventa qui una sfida oltre che un dato di fatto.

La sfida, anche per noi oggi, è sentirsi, allo stesso modo, tutti responsabili del progresso umano e spirituale della nostra società, nonostante la diversità, anzi, a partire proprio da questa. Perché è proprio nell’uscita da sé stessi e nell’andare incontro all’altro con tutta la sua diversità culturale e religiosa che ci si arricchisce e ne viene alimentata la reciprocità.

Quando non si ha la forza, o addirittura il coraggio di uscire da se stessi, dai propri schemi mentali, dalle proprie convinzioni personali, si cade inevitabilmente nella tentazione di voler omologare l’altro a se stessi e questo non è possibile, non è nella natura delle cose. A questo livello la presenza dell’altro, in quanto diverso, piuttosto che diventare occasione di crescita e gioia diventa inevitabilmente fonte di conflitto. “Preghiamo dunque il Signore perché ci doni la mitezza in ancor più grande abbondanza e faccia crescere nella nostra terra, mediante la rugiada dello Spirito Santo, questo seme di fraternità; forse, grazie alla sua forza, potremo produrre il frutto, in modo da ristabilire la pace (Nereses Di Lambron, vescovo armeno 1152-1198, Il primato della carità, Edizioni Qiqajon, Bose 1996, p.102)

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