Movimento Apostolico Ciechi

In copertina

“Libertà, solidarietà, partecipazione” 

Luce e Amore Anno LXXIV - N. 3 Luglio/Settembre 2024
Pubblicazione trimestrale del Movimento Apostolico Ciechi

 

Generare e sostenere comunità

[…] significa eliminare

ogni discriminazione e soddisfare

concretamente l’esigenza

di ogni persona

di sentirsi riconosciuta

e di sentirsi parte.

Non c’è inclusione, infatti,

se manca l’esperienza

della fraternità

e della comunione reciproca.

Papa Francesco

 

 

SOMMARIO

◼︎EDITORIALE

Emergenza educativa, differenze e distanze
di Francesco Scelzo

LA PAROLA E LA VITA

- La formazione come cura della comunità
di don Alfonso Giorgio

InFORMAZIONE e ...

- Il cammino sinodale: una grande sfida per l’azione educativa della Chiesa
  di Luigi Sacccoman

- Al cuore della democrazia La 50esima settimana sociale dei cattolici in Italia
  di Ernesto Preziosi

- L’inclusione scolastica alla Settimana sociale dei cattolici in Italia  
  di Salvatore Nocera

VERSO IL GIUBILEO 2025

- GIUBILEO 2025. La speranza non delude La Bolla di indizione del Giubileo in compendio
  di don Paolo Braida

SPECIALE 
FORMAZIONE, DIRITTO AL LAVORO E PERSONE CON DISABILITÀ

- Le persone con disabilità e il lavoro come diritto di cittadinanza
  di Salvatore Nocera

- Giovani con disabilità di fronte alla prospettiva del lavoro e verso la vita indipendente
   di Arianna Ranauro

- Metodologia cooperativa nei percorsi di formazione all’autonomia e all’inclusione socialea
  di Francesca Romana Busnelli

- Le cooperative sociali di tipo B e l’inserimento lavorativo di persone con disabilità.
  Dall’assistenza al progetto di vita indipendente e il disability manager
  di Simona Balistreri

COOPERAZIONE TRA POPOLI E PROGETTI

- Ponti di pace. Un interessante progetto in una scuola di Arezzo
  di Violetta De Filippo

- Da Adigrat ci scrivono
  di Violetta De Filippo

PROMOZIONE SOCIALE IN ITALIA

- Inclusione scolastica Le ragioni dell’impegno del MAC
  di Salvatore Nocera

- Un’esperienza per divulgare informazioni
  di Chiarina Corallo

- A Brescia riprendono i corsi di formazione e aggiornamento dei docenti organizzati dal MAC
  di Sonia Benedan

- Un testo per l’apprendimento del codice Braille
  di Pamela Speranza

- Noi insieme” per potenziare le autonomie di base
  di Paola Ragaini

- Uno stage per crescere
  di Antonio Pellizzaro

EVENTI MAC

Le giornate di spiritualità del MAC
- Come rinnovare la gioia
  di Salvatore Leggio

- Una testimonianza: La speranza e la pazienza
  di Simona Balistreri

Alcuni spunti di riflessione dei partecipanti

RACCONTI DAL TERRITORIO

-Formia – Nasce un nuovo gruppo MAC nella Chiesa di Gaeta
 di Vito Amodio

-Varese – Il gruppo incontra il Vicario Episcopale
 di Antonio Pellizzaro

-Verona – Il gruppo MAC e la visita di Papa Francesco alla città
di Francesco Bondardo

-Verona – Il Gruppo locale in visita alla Casa madre dei Padri Comboniani
 di Igino Mengalli

-Ragusa – I Gruppi di Ragusa e Caltagirone in visita al Castello di Donnafugata
 di Chiarina Corallo 

- Udine – I gruppi MAC del Triveneto e l’A.N.Fa.Mi.V. in pellegrinaggio
 di Lorenza Vetto

Genova – Don Sergio Manarolo: una presenza accanto discreta, generosa e sorridente
 di Linda Arienti

 

Editoriale

di Francesco Scelzo 

L’incontro e la comunità

Educazione, formazione, partecipazione e condivisione esigono e rinviano a differenze e distanze che nell’età moderna progressivamente si è creduti di dover annullare, di dover negare; il nichilismo, qualità rilevante del pensiero moderno, è diventato nel tempo connotazione della visione della vita e della storia, negando ogni forma di legame e di relazione che sono a fondamento di entrambe. Ciò potrebbe sembrare contraddittorio dal  momento che negli ultimi sessant’anni il mondo è diventato sempre  più connesso fino a diventare una rete globale in cui tutti sembrano  avere un posto e ciò è stato facilitato dalla rivoluzione e dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione; la stessa svolta politica degli  ultimi anni Novanta, quella della globalizzazione, sembrerebbe una  contraddizione rispetto all’affermazione totalizzante dell’individuo, del soggettivismo relativistico e del narcisismo, per cui come efficacemente scrive Vito Mancuso “Dio è l’Io”.  

La stessa tesi filosofica di Popper, che proponeva di evitare il rischio di una visione olistica della vita e dell’organizzazione politica, potrebbe apparire infondata e in contraddizione con questo processo di “indifferenza” e di individualizzazione della relazione dell’io con l’altro. Quale potrebbe essere la ragione di questo processo di soggettivizzazione individualistica? Perché appare contraddittoria la contemporanea affermazione dell’esigenza di formazione e di condivisione mentre ci si rifugia sempre più nel leaderismo? Perché il processo comunitario, le reti familiari, il vicinato diventano sempre più fragili, sempre più deboli? Perché la scuola, il luogo di lavoro appaiono sempre più inospitali? Perché a tutti appare sempre più debole la forma politica della democrazia? È ancora vivo il sentimento di comunità nel nostro Paese? Il fare comunità rimane un progetto di vita? Il cosiddetto “inverno demografico” è determinato, forse, anche da un diminuito sentimento comunitario?

Perché si indeboliscono tutte le forme di aggregazione comunitarie finanche le attività religiose?  

“Al cuore della democrazia” è stato il tema che i cattolici italiani hanno posto all’attenzione di tutti nella cinquantesima Settimana Sociale; il brillante intervento del Presidente della Repubblica e lo sviluppo della discussione è stato sorprendente per l’interesse che ha suscitato in tutti: la partecipazione è l’elemento debole nella democrazia del nostro tempo, l’assenza di partecipazione è la causa della crisi della democrazia e cioè della vita comunitaria. Spesso ci si confronta sulla sempre più rara partecipazione dei fedeli alla vita delle parrocchie, l’associazionismo è sempre più frammentato e i partiti politici sono di fatto inesistenti. È diventato un motto ricorrente l’esigenza di comunità, di scuole, di città inclusive; l’inclusione negli ultimi tempi è diventato termine ricorrente in ogni riflessione politica o sociale in relazione a qualunque tema circa disabilità, disagio, migrazione e politica in genere, mentre città, scuole, ambienti di lavoro vengono avvertiti sempre più come inospitali. Negli ultimi anni sempre più spesso si parla di emergenza educativa, di povertà educativa, di esigenze formative e il tema dei diritti umani, sociali e civili appare come la soluzione e il superamento di fragilità e fratture. Perché ha sorpreso e interpellato tutti il tema della Settimana dei Cattolici in Italia? Perché le città, le scuole e le comunità si avvertono come inospitali? Perché l’educare e il formare appaiono imprese impossibili?

Educazione, formazione, partecipazione e condivisione esigono di essere coniugate con una visione filosofica e teologica dell’uomo e della vita che non escluda il tempo e la storia come elementi irrilevanti; partecipazione e democrazia rinviano immediatamente all’esigenza di impegnare del tempo e di governare le relazioni: partecipare significa esserci e democrazia significa governo di un popolo costituito, di una cittadinanza. La condivisione presuppone l’alterità, l’essere parte l’uno dell’altro e l’educazione, come la formazione, presuppone l’interlocuzione, la relazione fra differenti con lo scopo di modificare, di modellare il contesto e le relazioni in cui l’uomo è incluso. Una visione dell’uomo, misura della realtà senza tempo, senza l’altro, nega ogni forma di educazione, di formazione, ogni possibilità di partecipazione di condivisione perché nega l’altro. La negazione dell’altro è la conseguenza della negazione della differenza e della distanza; differenza e distanza generano desiderio e tensione verso l’altro, elementi determinanti nello sviluppare le relazioni e i legami nonché esprimere, dare forma alla libertà dell’uomo. Negare differenza e distanza significa negare la libertà; è questa la contraddizione della civiltà moderna che ha creduto di affermare libertà e uguaglianza negando l’altro, negando differenze e distanze.

 

 

LA PAROLA E LA VITA

La formazione come cura della comunità

di don Alfonso Giorgio

Quando parliamo di comunità pensiamo subito ad una aggregazione di persone o ad una famiglia ove si mettono insieme talenti, si condividono sogni e interessi, progetti ecc. Però se andiamo all’etimologia del termine comunità troviamo che esso è fatto derivare prevalentemente dal latino cum-munus, letteralmente “insieme di doni” e fa implicitamente riferimento ad un gesto di scambio, ma tale origine non è data per acquisita dai filologi. Confrontando, infatti, col termine simile comunicazione si possono ipotizzare altre derivazioni e, di conseguenza, nuovi significati originari.

L’indagine etimologica ci suggerisce alcuni interessanti spunti di riflessione: cum-manibus: indica una transazione economica che si concretava con la stretta di mano e che vincolava la volontà negoziale; cum-moenia: suggerisce la fraternità degli esseri che stanno dentro le mura; cum-munia: fa appello al senso del dovere; cum munis: evoca il compimento del proprio incarico con altri.

Questi molteplici significati, desunti dalla sola analisi della parola, ci confermano in breve che non si può pensare ad una comunità come un insieme di individualità autonome, ripiegate ognuna su se stesse, ognuno per fatti propri, ma bisogna considerare proprio quella dimensione ineludibile che è la fraternità.

Molto spesso, oggi, riscontriamo che soggetti anche molto giovani mentre sono in grado di comunicare con gli altri, in maniera fluida e coinvolgente attraverso i social, non lo sono altrettanto nelle relazioni ordinarie e classiche “de visu”.

Nella “navigazione”, infatti, si parla addirittura di “amici” che poi si rivelano “non-amici” e nella vita reale spesso mancano i veri amici o sono pochissimi, perché nelle relazioni manca lo scambio, l’incontro/scontro con gli altri, cioè quello che don Tonino Bello chiamava confronto tra volti:

“Bisogna stare attenti nell’allacciare rapporti umani più credibili, più veri. Basati sulla contemplazione del volto. Basati sulla stretta di mano che non contenga nascosta la lama di un coltello. Rapporti umani basati sull’etica del volto, dello sguardo. La nonviolenza comincia da lì: l’etica del volto. Sono convinto che noi ci apriremo alla dimensione divina proprio a partire dal volto umano. (don Tonino Bello).

Quando mancano i volti è facile scadere nei dialoghi, è facile anche entrare in guerra. La cronaca attuale ne è una conferma. Ebbene in una aggregazione di persone che chiamiamo “comunità”, proprio perché non possiamo fare a meno di incontrarci e confrontarci, non si può tralasciare quello che è un aspetto importante per l’autorealizzazione delle persone: la formazione.

Per crescere come persone o come credenti in Cristo è necessario educare, educarsi e formarsi.

Il classico proverbio africano citato anche da papa Francesco afferma che “per educare un bambino ci vuole un villaggio” perché la trama comunitaria è il cuore della vita e della crescita dei membri della stessa comunità. Non è l’individuo a formarsi ma la persona, nel suo “essere per”, cioè nelle sue relazioni e la comunità dovrebbe favorire il percorso di ogni singola persona promuovendo formazione per tutti. La comunità, infatti, promuovendo prossimità, cambiamento inteso come continuo cammino in avanti nella libertà, favorisce la formazione di ogni persona che vi fa capo e affranca il singolo da quell’isolamento distruttivo già evidenziato in Genesi quando ci parla della solitudine di Adamo. Parliamo di quella solitudine da isolamento spaziale, che solo la donna è in grado di annullare; una donna (Eva) che ha un nome, una sua identità precisa tale da dare un senso alla sua esistenza e a quella di Adamo. Da qui capiamo che non possiamo vivere se non insieme agli altri: “non è bene che l’uomo sia solo”! (Gen. 2, 18)

Papa Francesco con l’ultimo messaggio per la Giornata mondiale del malato sottolineava che il monito biblico va sempre accolto, specialmente nell’epoca in cui viviamo e in questo senso la formazione diventa “cura”, infatti non possiamo pensare ad una formazione umana e cristiana dei membri di una comunità che sia solo di carattere teorico o teoretico. È necessario quel conforto-confronto che serve a noi tutti, perché offre interessanti possibilità di decentramento, per sperimentare altri punti di vista, magari liberi dalle nostre precomprensioni e reazioni emotive, per maturare la consapevolezza che le nostre vicende o i nostri punti di vista personali, spesso, hanno molti più contenuti in comune con quelli degli altri, più di quello che immaginiamo.

Il “conforto” che si declina come “cura” ci permette anche di crescere in umanità e cristianità, perché è nella prassi che noi attuiamo e sperimentiamo la fraternità. Anche la Fede senza le opere è falsa (cfr Giacomo 2,17). Allora nella comunità è necessario avere “lo sguardo compassionevole di Gesù” e prendersi cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato e scartato. Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione“ (Francesco, Messaggio per la XXXII Giornata mondiale del Malato, Roma 10 gennaio 2024).

Formare vuol dire anche prendersi cura di se stessi per non rimanere fuori dai processi di crescita e aggiornamento dei linguaggi, delle strategie, delle tecnologie della comunicazione e di ogni altro ambito utile al perseguimento degli obiettivi di felicità e autorealizzazione che sono insiti nel cuore di ogni persona. Ma la Chiesa, attingendo alla Sapienza dei Vangeli, ci ricorda, giustamente, che non vi può essere piena realizzazione se ci si limita a guardare a se stessi, anche perché la vera felicità si attua quando ci decentriamo, quando diventiamo noi stessi dono gli uni per gli altri. Ecco perché bisogna prendersi cura gli uni degli altri. La formazione della comunità dunque non può scavalcare questa esigenza imprescindibile. Si tratta di un’istanza umana e spirituale necessaria: curare il prossimo e curare se stessi, cioè promuovere una nuova cultura della misericordia, dove è il cuore a farsi “misero” e prossimo al cuore dell’altro. Questo può accadere se vengono avviati processi di apprendimento che tengano conto del volto dell’altro che ci sta dinanzi.

Prima fra tutti la Chiesa e ogni singola realtà ecclesiale avrebbero il compito di promuovere una cultura della solidarietà che si muova tra pubblica istituzione, associazioni, movimenti e ogni altra forza di volontariato perché, al di là di ogni equivoco di concorrenzialità, possa strutturarsi un’organica continuità di servizio a vantaggio dei più poveri e sofferenti (cfr. Don Tonino Bello, Scritti vari, La Nuova Mezzina, Molfetta 2018) 

In ultimo va detto che se è vero che l’uomo non può vivere da solo e non ci si può formare facilmente da solo, è vero anche che il banco di prova per capire se siamo cambiati, cioè se abbiamo acquisito nuove competenze o nuove abilità tali da poter essere ancora più utili alla società e alla Chiesa, è proprio la comunità che accetta e riconosce il cambiamento.

Da quanto detto emerge un fatto quanto mai urgente oggi, e cioè che la comunità è chiamata ad essere e diventare luogo privilegiato di formazione culturale e del sé, riprendendo l’idea che essa sia vocazione universalmente umana, (R. Mancini, L’uomo e la comunità, Edizioni  Quiqajon Comunità di Bose 2001) come afferma il filosofo Mancini, e  che nessuno di noi può dirsi estraneo a questa misteriosa chiamata a realizzare con gli altri una vita che sia più della vita, una vita gioiosa e piena di speranza per il futuro, una vita – secondo il Vangelo - beata.

 

 

 

 

 

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