In copertina l'immagine di una luna che illumina con la sua luce gruppi di persona in attesa

“L’attesa è apertura alla sorpresa” 

Luce e Amore Anno LXXIII - N. 4 Ottobre/Dicembre 2023
Pubblicazione trimestrale del Movimento Apostolico Ciechi

 

Quando siamo davanti a un povero 

non possiamo voltare lo sguardo altrove, 

perché impediremmo a noi stessi 

di incontrare il volto del Signore Gesù. 

... In questa casa che è il mondo, 

tutti hanno diritto a essere illuminati 

dalla carità, nessuno può esserne privato. »

Papa Francesco

 

 

SOMMARIO

◼︎EDITORIALE

- Attesa e solitudine
di Francesco Scelzo 

◼︎LA PAROLA E LA VITA

- Attendere e accogliere la sorpresa di Dio.
di don Alfonso Giorgio

◼︎InFORMAZIONE e ...

- L’Esortazione Apostolica “Laudate Deum”
di don Giuseppe Morante

No profit e impegno sociale. La grande questione della gratuità
di Francesco Scelzo

- Il disabile e la società
di Luigi Saccoman

- La figura di Maria nella Chiesa tra devozione e dogmi
di Katiuscia Betti

- Le Giornate di Corbiolo
di Elisabetta Vianello

◼︎Pagina dopo Pagina – Libri in vetrina

- Riflessioni per stimolare cuore e intelligenza
di Luca Raspi

◼︎COOPERAZIONE TRA POPOLI E PROGETTI

- Tanzania - una speranza per un gruppo di albini
di Violetta De Filippo

- Un incontro di fraternità unisce il mondo
di Nicola Ferrando e di Lucia Vinci

◼︎RACCONTI DAL SUD DEL MONDO 
- Piccoli profughi nella missione di Damour
di padre Damiano Puccini

◼︎PROMOZIONE SOCIALE IN ITALIA

-Nuovi equilibri famigliari quando arriva un figlio con disabilità Luigi Saccoman

- Una significativa esperienza di soggiorno con finalità educative
di Antonio Pellizzaro e Eugenio Tommasoni

- Qualità delle relazioni umane e pluralità di tecniche e di competenze 
di Cristina Majocchi

- Il contributo del MAC al cammino sinodale
di Katiuscia Betty e Giuseppe Manzella

- Il MAC e il cammino sinodale
di Luigi Saccoman

-Lascia il centro per disabili e diventa Diacono
di Michela De Rosa e Margherita 

-Alla convention di Spazio Spadoni. Le nostre “opere di misericordia”
di Cetty Giannone e Antonio Stoccato

-Inclusività e bene comune – Obiettivi dei progetti presentati per il Premio Lorenzani
di Vito Amodio

◼︎RACCONTI DAL TERRITORIO

-Ravenna – Pellegrinaggio al santuario della Madonna della Corona di Riccardo Satriano

-Peschiera del Garda – Pellegrinaggio dei gruppi del Triveneto di Igino Mencalli

-Arezzo – Testimonianza al Santuario de La Verna di Luigi Vieri

-Vizzini – I gruppi di Ragusa e Caltagirone si incontrano di Ernesto Cosentino

-Bergamo – I gruppi della Lombardia in visita alla città di Bergamo di Monica Groppelli

Natale è camminare nella notte orientati da una lampada che illumina i passi.
Un Santo Natale a tutti. Auguri dalla redazione

Editoriale

di Francesco Scelzo 

Attesa e solitudine

Hanno ancora senso e significato le celebrazioni del Natale e delle festività cristiane dell’ultimo mese dell’anno e dei primi giorni dell’anno nuovo? Quale senso e quali significati hanno per l’uomo del nostro tempo? Tutte le celebrazioni civili o religiose sono momenti, sono occasioni per fare memoria, per evocare emozioni e suggestioni, per riflettere e meditare sul senso di sé, sul destino dell’uomo nel mondo e nella storia. Esse parlano a ogni uomo. La Parola delle Scritture, il Vangelo di Gesù la Chiesa Cristiana parlano all’uomo di tutti i tempi, parlano a ogni uomo. Ciascuno di noi, nella propria singolarità semplicemente come uomo “laico”, membro cioè di una comunità più o meno ampia, come membro della comunità degli uomini viene coinvolto dalle celebrazioni e vi partecipa con differenti e molteplici modalità per intensità e per tipologia di scelta o di situazione personale: da non credente e da credente, da cristiano e da cattolico, da dubbioso e da agnostico. Gli eventi ricordati in queste celebrazioni parlano a tutti, parlano all’uomo. Il divino che incontra l’uomo, l’umanità che si apre alla divinità è iscritto nell’essere dell’uomo, nella sua natura; egli è essere che si proietta al di fuori di sé, è proteso verso gli altri e verso l’altro; tende all’oltre.

È paradossale; l’uomo fa la guerra, entra in conflitto con l’altro in ragione della sua interiore forza dinamica che lo fa protendere oltre sé. Il Dio creatore ha voluto l’uomo libero e forte; l’uomo è corpo, anima e spirito. Lo spirito lo rende potente, è la forza che lo muove nel profondo della sua interiorità. Tutti gli uomini, ogni uomo è corpo, anima e spirito. La spiritualità connota l’uomo credente o non credente perché tutti siamo mossi da una forza interiore che ci pone in armonica relazione con l’altro e con il mondo come costruttori di una casa comune, di un destino comune. Nel tempo della guerra mondiale “a pezzi”, della guerra in Europa e nel Medio Oriente è facile immaginarsi come esseri materiali, senza un’anima e senza spiritualità, come esseri meccanicisticamente in conflitto. Non è così! La ragione della guerra è la nostra disobbedienza, la superbia, la non-responsabilità o la volontà di non fare “la volontà di Dio” e costruire “il Suo Regno”; il conflitto è frutto della nostra possibilità di non rispondere con responsabilità allo spirito che è in noi, è la possibilità di essere irresponsabili. Fare festa a Natale, celebrare il Natale è fare memoria della notte in cui si accende un fuoco in una stalla, in cui questa si riempie di luce, in una notte in cui si accende e si illumina una stella, una stella cometa; si fa memoria della notte in cui si canta “gloria a Dio nei cieli e pace agli uomini in terra”, gloria al Dio di ogni uomo e pace a tutti gli uomini, a ogni uomo. Tutto ciò evoca in noi speranza, incontro, attesa; il fuoco acceso e la luce ci richiamano ad andare verso la grotta, la stella ci orienta, il canto è la proposta di una meta dove tutti noi, ogni uomo, è atteso.

L’attesa è un moto interiore dell’uomo che si apre alla speranza e intraprende un cammino. Il Natale è la proposta di mettersi in cammino e vivere l’attesa e la solitudine dell’andare incontro agli altri, al Dio della Pace. Protagonisti della notte sono anche Maria e Giuseppe, donna e uomo dell’attesa e della solitudine. Maria scopre di essere in attesa di un bambino e che la cugina Elisabetta presto partorirà un figlio. Si mette in cammino senza paura, incurante della propria nuova condizione, mossa dalla forza interiore che la spinge ad andare a casa dell’anziana cugina. Cosa attraversa la mente e il cuore di Maria? Quali emozioni e quali domande la turbano dopo la notizia di tali eventi? L’attesa di questi due eventi per una giovane donna, poco più che ragazza, lo stupore e la sorpresa per il modo in cui le sono stati annunciati la interpellano e la interrogano nella sua solitudine lungo il cammino. Solitudine e attesa accompagnano Maria verso la casa di Elisabetta e verso Betlemme. Giuseppe, uomo giusto, si accorge che Maria è incinta in modo straordinario; la mente e il cuore di un uomo solo, chiamato nell’attesa a un cammino spirituale altrettanto faticoso, si affollano di dubbi e di domande. Maria e Giuseppe aprono il cuore e la mente al futuro, al dono, all’incontro, alla relazione con l’altro; pur nel turbamento della solitudine si aprono all’attesa, alla speranza, al progetto che è stato scritto per loro. Vivono sorpresi e stupiti l’incredibile esperienza che li porta alla notte, alla nascita del loro bambino. Ora, insieme, tra dubbi e incertezze, sono costretti a fuggire in Egitto ancora sospesi tra attesa e solitudine. L’attesa e la solitudine accompagnano Maria e Giuseppe; attesa e solitudine accompagnano ogni uomo. Essere sospesi tra solitudine e attesa ci spinge a metterci in cammino, ad aprirci alla speranza, all’incontro. Celebrare il Natale sollecita tutti ad accogliere la vita, la vita che nasce, a farci guidare nel cammino a riscoprire Dio come presenza che permea l’umano che, in ragione dello spirito, è luogo di Dio, a costruire la Pace come unico e vero dono per l’uomo sulla terra.

 

 

LA PAROLA E LA VITA

Attendere e accogliere la sorpresa di Dio.

di don Alfonso Giorgio

Da una lettura attenta dei libri dell’Antico Testamento si coglie che tutti i testi sono permeati dal tema dell’attesa del Messia che deve venire a liberare e rendere felice il Suo popolo. Il libro da cui cogliamo maggiormente questa dinamica teologica è quello del profeta Isaia, che presenta oracoli di epoca diversa e di vario genere letterario, ma uniti da una linea di fondo: di fronte a tanto degrado umano la prospettiva è la devastazione, il deserto spirituale e per questo la condanna inesorabile da parte della divinità, ma quando tutto sembra finito giunge la salvezza che supera ogni esperienza storica e rinnova il gesto creatore di Dio all’inizio del mondo: l’intervento di Dio nel Mistero della nascita di un bambino che avrà per nome «Emmanuele», che significa «Dio con noi».

È la Fede recuperata e ri-professata che muove il cuore di Dio. Isaia lo ripete: «Se non avete fede, non sussisterete» (Isaia 7, 9), afferma il profeta, per dire che solo per la fede, solo se il popolo di Dio recupererà la dimensione dell’accoglienza del Mistero, dell’inedito, dell’imprevisto avrà vita.

Gesù il Messia preannunciato, è venuto sulla terra e in tanti lo hanno accolto, continuano ad accoglierlo e, paradossalmente, in vista di quella vita piena ed eterna promessa sono disposti anche a “perdere” la propria vita. Alla luce di questa verità non vi è dubbio che la virtù umana e teologica dell’accoglienza è il terreno di prova della nostra Fede, il primo gradino necessario per vivere con autenticità il Mistero della nascita di quel Bambino promesso.

Quanti accolgono oggi? Chi accoglie chi? E chi viene accolto? Per dirla con papa Francesco, vengono veramente accolti “tutti, tutti, tutti”? Molte famiglie religiose, molte comunità o semplicemente famiglie cristiane proclamano di essere accoglienti, però quando una famiglia in cui vive una persona con disabilità si avvicina a quei contesti si sollevano i distinguo e la sensazione di essere un “problema” per la comunità prevale su tutto: “Come si fa con questi?”, “Non si può”, “Distraggono tutti”; “È meglio che rimangano a casa”. Queste le conclusioni che emergono molto spesso. Il fatto è che ci si dimentica facilmente che Gesù è venuto povero in mezzo ai poveri e non sarebbe male confessare questa povertà di mezzi o di competenze anche nella Chiesa per condividerla serenamente con coloro che vorrebbero accoglienza. Sarebbe bello dirlo con sincerità: “sono povero con i poveri e insieme abbandoniamo le nostre certezze, le nostre aspettative di perfezione e accogliamo, avventurandoci, guidati dalla parola di Gesù che invita tutti alla sua festa” (cfr. Matteo 22).

Gesù viene sempre in mezzo a noi: è un Mistero che non può renderci indifferenti. Perché celebriamo il Natale e ogni anno siamo chiamati a misurarci con la profondità di questo grande Mistero di Dio venuto sulla terra? Perché dobbiamo sempre imparare e re-imparare l’accoglienza e soprattutto perché dobbiamo cambiare accogliendo. Accogliere, infatti, significa essere disposti a vivere il rischio, che normalmente non vogliamo affrontare, che è proprio cambiare ed evolversi.

Colui che ospita, chiunque esso sia, specialmente se cristiano, per essere veramente accogliente deve essere disposto a cambiare se stesso. È una dinamica spirituale che va posta alla base di ogni iniziativa umana-pastorale necessaria per manifestare l’amore per tutti, specialmente per i più svantaggiati.

La Chiesa cosa dovrebbe fare? Quello che fa da sempre: accogliere! Perché dovrebbe accogliere? Perché è madre e dovrebbe esserne sempre più consapevole.

La maternità della Chiesa è un dato teologico-ecclesiologico evidenziato sin dai primi secoli, acquisito e confermato soprattutto dal Concilio Vaticano II. La Chiesa “Sponsa Christi” vive la maternità in pienezza perché in qualche modo è stata misteriosamente “fecondata”. Del resto non si può diventare madri se non si è fecondati. I padri della Chiesa lo sottolineavano con forza: la Chiesa è madre in quanto è fecondata esattamente come la Vergine Maria. Lo Spirito di Dio l’ha resa feconda perché desse un corpo così come è scritto nella lettera agli Ebrei 10, 5: “Tu, Dio, non hai voluto sacrifici né olocausti. Un corpo, invece, mi hai dato”, un corpo capace, capiente per tutti che accoglie per tutti e invita tutti ad accogliere. Ecco il Mistero del Natale: fecondità e maternità per accogliere. La Vergine Maria, che ha atteso e accolto quel Figlio “speciale” annunciato, non può non aver vissuto quel necessario cambiamento di cui sopra e non credo nemmeno che debba aver fatto tutto senza impegno personale o senza sacrificio. Del resto, gli stessi Vangeli evidenziano l’umiliazione cui ha dovuto fare fronte sin dal primo momento: l’obbligo di partire per partorire poi nella povertà e nella precarietà, la necessità di fuggire, cambiare ambiente, cambiare vita e adeguarsi al prezioso Ospite. Questo processo complesso, esigente ma, al tempo stesso, affascinante cui Maria ha preso parte rispondendo con totale disponibilità al progetto di Dio, ci riguarda poiché anche noi dovremmo essere fecondi e disponibili ad accogliere quell’Ospite che viene dall’Eterno e costantemente bussa la porta del nostro cuore suscitando in noi una continua disponibilità a cambiare perché in fondo “vivere e cambiare” (cfr. Mons. Mariano Magrassi). Se attendiamo e accogliamo l’altro in noi, senza nemmeno accorgercene stiamo entrando a contatto con l’Eterno, perché chi viene a noi, infatti, è figura del totalmente Altro che si incarna, per cui non posso più guardare al fratello o alla sorella che viene a bussare alla porta della mia vita, della mia famiglia o della mia parrocchia come ad un rischio per la stabilità e l’“omeostasi” delle mie ben coltivate relazioni umane, ma, al contrario, come ad una possibilità di arricchirmi, di cambiare, di progredire ed essere generativo. L’altro è, dunque, non un pericolo ma una “presenza incombente e necessaria il cui unico manifestarsi è nell’idea dell’Infinito attraverso cui, nel volto dell’altro, Dio mi viene all’idea, unica possibilità di affermazione dell’io” (E. LÉVINAS, Tra noi, Eitions Grasset et Fasquelle, Paris 1998, pag. 21). L’attesa riempie il cuore di gioia perché ci rende curiosi e ci prepara all’accoglienza, ma dobbiamo essere disposti a tutto, anche a cambiare le nostre aspettative, perché a colui che attende fissandosi solo sull’”oggetto” atteso, scontato e previsto, giunge solo ciò che attendeva, ma a colui che attende e spera può capitare anche ciò che non sperava e, in genere, è gioia piena, sorpresa di Dio. Gesù Bambino di Betlemme è la più grande sorpresa di Dio mai attesa.

 

 

 

 

 

In copertina l'immagine di un'attività svolta durante il progetto

“Alla ricerca di vie per autonomie possibili” 

Luce e Amore Anno LXXIII - N. 3 Luglio/Settembre 2023
Pubblicazione trimestrale del Movimento Apostolico Ciechi

 

Ogni uomo deve decidere se camminerà 

nella luce dell’altruismo creativo

o nel buio dell’egoismo distruttivo.

La più insistente ed urgente domanda

della vita è:

“Che cosa fate voi per gli altri?” 

partecipati equamente a tutti,

avendo come guida la giustizia e come compagna di strada la carità»

Martin Luther King

 

 

 

SOMMARIO

◼︎EDITORIALE

- Singoli ospitali o individui?
Persone con disabilità e comunità tra modello sociale e modello medico-sanitario .
di Francesco Scelzo 

◼︎LA PAROLA E LA VITA

- Accogliere in Cristo ogni persona e ogni fragilità.
di don Alfonso Giorgio

◼︎SPECIALE - Il progetto autonomie possibili  
I dati e alcune esperienze significative

- Contenuti, obiettivi, metodi e numeri del progetto
di Carmela Sica

In Campania e in Basilicata un punto di riferimento per l’orientamento pedagogico e per la promozione sociale 
di Carmela Sica

- La scuola si apre a Gabriele
di Caterina De Luisi

- In Puglia i percorsi di socializzazione per adulti con disabilità grave
di Annarita Gentile

- Nel Lazio una sperimentazione di inclusione sociale
di Annamaria Canonico

- Il progetto Autonomie Possibili in Sicilia
di Antonino Amore e Martina Cannata 

- Criticità nella vita adulta e dinamiche familiari nelle attività della Liguria
di Luca Raspi

- Dalla Liguria una testimonianza e un grande interrogativo 
di Dania Iula

-In Lombardia interessante esperienza in prospettiva
di Eugenio Tomasoni e Antonio Pellizzaro

- Una interessante scoperta per Miriam nelle iniziative progettuali della Toscana
di Antonella De Ruvo

- In Emilia Romagna un viaggio emozionante e articolato 
di Sebastiano Presti

- Emozioni speranze e valutazioni
di Antonella e Daniele Epifani

-Stage per l’autonomia personale nelle Marche
di Nella Rapaccini e Giulia Pagoni

-La tecnica del modellaggio nei laboratori per persone con disabilità in Friuli
di Erica Fasano

◼︎Pagina dopo Pagina – Libri in vetrina 
-Un sorprendente viaggio tra mondi complessi e affascinanti
di Vincenzo Lasala

◼︎PROMOZIONE SOCIALE IN ITALIA

-Parrocchie e persone con disabilità
Un convegno del Servizio Nazionale per le Persone con Disabilità
di Katiuscia Betti

-Inclusione in classe e servizi di pedagogia territoriale
di Carmela Sica

◼︎RACCONTI DAL TERRITORIO

-Varese – Il gruppo incontra il Vescovo di Antonio Pellizzaro

-Udine – L’incontro del gruppo MAC, una testimonianza

-Caltanissetta – Consegnato il premio don Brugnani di Giuseppe Manzella

-Macerata – Ricordata Annamaria Pansoni di Giovanni Marresi

-Lombardia – I gruppi si incontrano per la giornata di spiritualità di Margherita Merlini

-Trieste – Consegnato il premio don Brugnani di Gianluigi Ugo

- Liguria – Una giornata di condivisione dei gruppi

-Sicilia – Meeting di formazione per i gruppi di Giovanni La Spisa e Chiarina Corallo

 

Editoriale

di Francesco Scelzo 

Singoli ospitali o individui?
Persone con disabilità e comunità tra modello sociale e modello medico-sanitario

Immagine: Manifestazione di vicinanza e affetto per una persona disabile

 

La stagione della ricostruzione, dopo la seconda Grande Guerra, ha coinciso con una vivace stagione di fermento, oltre che economico, anche culturale che ha preso le mosse da due eventi significativi: il Concilio Vaticano II e il Sessantotto. Entrambi sono il punto di arrivo e di partenza di un movimento di comunità; entrambi sono all’origine di un cambiamento che coinvolge le relazioni comunitarie. Negli anni ’60 e ’70, tuttavia, inizia un processo di frammentazione delle relazioni comunitarie fino ad arrivare, negli ultimi anni del secolo scorso e nei primi del terzo millennio, alla cosiddetta “società liquida”, dei legami deboli. La stagione delle grandi associazioni popolari, dei partiti e dei sindacati, rinvigorita e rilanciata dopo la guerra, lentamente si affievolisce e tutte le forme associative e i legami strutturati perdono sempre più di significato cedendo il passo a un crescente individualismo, che spesso diventa soggettivismo relativistico se non narcisismo. I principi fondanti la Costituzione Italiana, che nel personalismo avevano trovato la fonte ispiratrice come sintesi del socialismo e del cattolicesimo democratico nonché, anche in qualche modo, del liberalismo, sembrano indebolirsi per cedere il passo a valori derivanti da una visione antropologica non più comunitaria bensì individualistica.

L’antropologia, la concezione dell’uomo, non è irrilevante anche nell’approccio alla disabilità. Gli anni ’70, ’80 e ’90 sono gli anni della stagione del modello sociale. Le persone con disabilità vengono coinvolte nel movimento delle relazioni comunitarie, per cui si vive la grande stagione della deistituzionalizzazione e della diffusione di una cultura dell’inclusione, della domiciliarità, della esigibilità dei diritti anche per le persone con disabilità, anche in situazione di gravità elevata o di complessità. In questi anni anche la Chiesa vive la stagione del modello sociale: gli orientamenti pastorali per questi tre decenni sono caratterizzati da una forte attenzione alla promozione umana, negli anni ’70, alla scelta preferenziale dei poveri, negli anni ’80, e alla testimonianza della carità, negli anni ’90. Entrambi i percorsi, quello della società nei confronti delle persone con disabilità e quello della Chiesa nei confronti dell’uomo, sono stati ispirati dalla concezione di un uomo singolo e in relazione con la comunità, autonomo e reciproco, incompiuto e chiamato alla libertà, protagonista responsabile della storia e, tuttavia, segnato dalla finitudine, dalla fragilità. Mentre la Chiesa ancora oggi, e soprattutto con il Magistero di papa Francesco, ripropone con forza il modello sociale, e non potrebbe essere diversamente, la comunità degli uomini si è fortemente avviata verso la costruzione di un modello caratterizzato dalla "separazione", dalla parcellizzazione, da una sorta di "monadismo" dell'individuo o anche di gruppi sociali, non escluse le persone con disabilità. Il bene comune e i beni comuni sono sempre meno obiettivi delle nostre città e della nostra politica.

Quale uomo può essere protagonista di inclusività? Quale uomo sposa il modello sociale piuttosto che il modello medico-sanitario?

Le tecniche e i metodi dei servizi alle persone, bambini, anziani, persone con disabilità, ammalati, rispondono necessariamente a una concezione dell’uomo. Se l’uomo viene colto come persona in relazione, come singolo incluso nella comunità, i servizi alle persone tutte e, in particolare, alle persone in situazioni di fragilità, alle persone con disabilità, saranno servizi aperti e volti a modificare le relazioni comunitarie per migliorare la capacità di vita dei beneficiari; se, al contrario, l’uomo viene colto come individuo, come nucleo, come monade, i servizi alla persona si caratterizzano per la separazione, la “recinzione”, la protezione volti a migliorare capacità e qualità di vita dell’individuo, con la convinzione che queste si caratterizzano solo come “indipendenza” e, perciò, senza legami che rendono la persona dipendente da altri. In questa logica sono nate le grandi istituzioni per disabili e per anziani; in questa logica si è fatto strada il modello medico-sanitario, per cui la “terapia” è la soluzione per migliorare capacità E qualità di vita di una persona; in questa logica, negli ultimi anni, ha ripreso vigore nei servizi alle persone con disabilità il modello medico-sanitario.ciò vale per tutti e ancor più per le persone in situazione di fragilità o di svantaggio.

L'uomo, nella visione antropologica biblica e cristiana, è colto come soggetto di "reciprocità e autonomia"; nei testi di Padri della chiesa ricorre il termine greco ellenistico, per definire l'uomo, "autoexusios", letteralmente "auto potente", che trova cioè in se stesso l'energia e la ragione del suo potere, della sua capacità di modificare l'ambiente in cui vive. È una realtà in relazione dinamica, reciproca ed autonoma, con se stesso, con gli altri, con il creato e anche con Dio. Anche nel pensiero greco classico l’uomo viene definito da Aristotele “animale politico”, cioè comunità organizzata, e ciò vale per gran parte del pensiero filosofico classico e medievale. L’approccio antropologico del nostro tempo si va sempre più allontanando da questa visione antropologica optando per un uomo biomeccanico, un meccanismo che risponde a principi di funzionamento, per cui tecniche e metodi dei servizi all’uomo devono aver cura del buon funzionamento.

La fede dei credenti in Gesù Cristo è intimamente connessa con le opere, per cui essere credenti, cristiani, chiede di essere liberi e responsabili di costruire relazioni dinamiche di reciprocità e di autonomia per ogni uomo, come singolo e come comunità. Chi ha Fede vive il desiderio di vita, di amore e di gioia solo come condivisione, come solidarietà nella reciprocità, come comunità degli uomini.

 

 

LA PAROLA E LA VITA

Accogliere in Cristo ogni persona e ogni fragilità.

di don Alfonso Giorgio

Immagine: Accoglienza di stranieri che arrivano presso di noi.

Se la vita umana viene al mondo come un grido, una sorta di invocazione di aiuto, perchè sin dalla nascita vi è un’apertura verso l’Altro anche se non ancora decodificata dalla persona come bisogno di credere e affidarsi. Questo significa che abbiamo bisogno dell’altro e di Colui che è totalmente Altro, per quella inequivocabile necessità di essere accuditi, accolti e di accudire e accogliere a sua volta.

Se in una relazione sono importante io, non di meno lo deve essere anche l’altro, altrimenti non ci sarà mai vero rapporto; ciò è ancora più vero sul piano della Fede in cui la relazione è tra me e Dio. Ciascuno di noi la vive in modo irripetibile anche se Gesù ci ha offerto gli strumenti per viverla con autenticità e ci ha detto che la Via per incontrare il Padre e vivere la Fede in pienezza è solo Lui.

Dopo quel “grido” iniziale emesso da tutti alla nascita, pian piano, tra un’esperienza di vita e l’altra, prima o poi, ci accorgiamo che Dio è necessario all’uomo: non può essere facoltativo, accessorio. Forse una certa pastorale del passato ha creato più terrore che consolazione: «Siate buoni cristiani, in caso contrario finite all’inferno …!» Non può essere certamente questo il Dio necessario perché, in realtà, Dio è Colui che dà senso e pienezza al nostro umano: questo è il Dio di cui non possiamo fare a meno, un Padre che ci accoglie e vuole essere accolto e riconosciuto.

“Lo avete fatto a me” (Mt 25, 40) ci ricorda Gesù, proprio per dirci che Lui è sempre in mezzo a noi e vorrebbe essere accolto. Nella vita di ogni giorno abbiamo tante occasioni per riconoscere la Sua presenza e accoglierLo, ma la più certa è tra i piccoli, i più fragili e i più poveri nei quali Egli, addirittura, si identifica: “Ero straniero e mi avete accolto, ero assetato e mi avete dato da bere, ero ammalato e mi avete visitato”. Nonostante la connaturale spinta ad accogliere gli altri nella nostra vita, permane sempre in maniera antinomica e contradditoria, dentro noi, anche la tentazione di vedere l’altro come uno “straniero”, un ostile. Infatti, lo straniero non è solo chi abita oltre la frontiera, diverso da me per cultura, colore della pelle, ecc. Tutto ciò che è altro da noi può essere visto come una minaccia da cui difendersi, tanto da indurre ad evitarlo per non rischiare di essere privati dei propri spazi e della propria libertà, perché “nulla teme l’uomo di più che essere toccato dall’ignoto... Dovunque, l’uomo evita d’essere toccato da ciò che gli è estraneo” (E. Canetti, Massa e potere, Adelphi, Milano 1981, 17).

La Fede in Gesù Cristo risorto dai morti se vissuta in pienezza ci rende capaci di accogliere con una certa serenità anche la sofferenza perché tutta la storia umana si “riassume nel dinamismo pasquale di morte e risurrezione, ricevuto nel Battesimo. Infatti, con l’immersione nell’acqua ognuno ècome se fosse morto e sepolto con Cristo, mentre, quando riemerge da essa, manifesta la vita nuova nello Spirito Santo. Questa condizione di rinascita coinvolge l’intera esistenza, in ogni suo aspetto: anche la malattia, la sofferenza e la morte sono inserite in Cristo, e trovano in Lui il loro senso ultimo” (Francesco, Giubileo degli ammalati e disabili, 12 giugno 2016). 

La persona con disabilità come accoglie? Come viene accolta?

Ogni genitore spera e aspetta che il proprio bambino sia sano, bello, forte e pieno di vita e sognano per lui un futuro sereno e meraviglioso. Nel momento in cui, però, si arriva alla conoscenza della disabilità del proprio bambino, le precedenti aspirazioni vengono messe in crisi e, oltre alle reazioni emotive immediate, bisogna affrontare difficoltà di natura sanitaria e sociale. È come se fossero atterrati in un aeroporto diverso da quello programmato. In un certo senso è come se si fossero imbattuti - almeno nella fase iniziale - in quello “straniero”, quasi ostile, di cui sopra.

Avere un figlio con una disabilità segna significativamente l’identità del genitore e il processo psicologico che porta dalla crisi iniziale all’accettazione della disabilità risulta complesso. Non è il caso qui di approfondire, occorrerebbe molto spazio, però si può affermare che un’accoglienza nella Fede può aiutare la famiglia ad andare oltre le problematiche riscontrate, soprattutto se questo processo difficile di accettazione viene maturato con la comunità ecclesiale e con adeguato supporto sanitario, psicologico, sociale e spirituale.

La comunità cristiana, se pure con molti limiti, sta prendendo consapevolezza della necessità di confrontarsi con le fragilità. Del resto, si tratta di realtà che ci fanno interrogare sul senso dell’esistenza. Papa Francesco ha messo in guardia contro due atteggiamenti: quello cinico «come se tutto si potesse risolvere subendo o contando solo sulle proprie forze», o quello che confida soltanto nella scienza «pensando che certamente in qualche parte del mondo esiste una medicina in grado di guarire la malattia»  (Francesco, Giubileo degli ammalati e disabili, 12 giugno 2016). Tutta la comunità, allora deve accogliere. Una comunità che non accogliesse - ha dichiarato il papa - è bene che chiuda definitivamente, perché è nella natura della Chiesa schierarsi con i più fragili e accogliere tutti. È la Fede in Cristo che ci invita ad amare l' altro, chiunque esso sia e in qualunque situazione personale si ritrovi. È l’amore per Cristo che ci spinge.

Questo amore grande per Cristo, poi, deve renderci capaci di “prendere la croce” – così come ci ricorda Gesù stesso - ma chiediamoci: cosa vuole dirci con questo? Che dobbiamo soccombere sotto il peso della croce? Che dobbiamo soffrire e basta? La croce, qui, è da intendere soprattutto come quella capacità di continuare ad amare anche quando è difficile amare. Si tratta di fare la scelta di continuare ad amare anche quando questo diventa impossibile, diventa esigente sia per chi soffre o si ritrova in una condizione di fragilità sia per chi è chiamato a relazionarsi con lui. In questa modalità di amare ci si può trovare in condizioni o in circostanze in cui diventa difficile davvero persistere, ma il credente non perde mai la consapevolezza di essere amato da Dio, sempre. Comprendiamo che la croce di cui ci parla Gesù, poi, non è altro che la manifestazione dell’amore eterno di Dio in Gesù Cristo, così come ci ricorda don Tonino Bello: “la croce è manifestazione, Epifania”, l’Epifania più alta dell’Amore di Dio per noi, che ha mandato suo Figlio sulla croce perché ci togliesse tutti i peccati e ci rendesse puri nel cuore.

Tutti noi possiamo amare con le nostre croci e raggiungere l’altezza dell’amore di Dio con la nostra croce. Possiamo rendere più pura l’umanità e più buono questo mondo con la nostra vita, con il nostro esempio, amando di più, amando gli altri, soprattutto i più fragili e quelli che hanno croci ben più pesanti, nel nome di Gesù e come Gesù stesso ci ama. Tra l’altro, nell’amare gli altri siamo certi di amare di più Gesù Cristo in ogni altra persona, in ogni altra creatura.

 

 

 

 

 

In copertina l'immagine mostra una esplosione di gioia di un gruppo di ragazzi per sentirsi in sintonia fra loro e col mondo

“Accoglienza è relazione” 

Luce e Amore Anno LXXIII - N. 2 Aprile/Giugno 2023
Pubblicazione trimestrale del Movimento Apostolico Ciechi

 

«i beni creati debbono essere

partecipati equamente a tutti,

avendo come guida la giustizia e

come compagna di strada la carità»

[Gaudium et spes, n.69]

 

 

 

 

SOMMARIO

◼︎EDITORIALE

- Fare spazio all’altro nella propria casa e nel proprio tempo.
di Francesco Scelzo 

◼︎LA PAROLA E LA VITA

- L’ospitalità vera. Accogliere le “pietre di scarto.
di don Alfonso Giorgio

◼︎Pagina dopo Pagina – Libri in vetrina

- L’inclusione del bambino con disabilità complesse in classe.
Manuale praticissimo per docenti, educatori e familiari.
Un libro per imparare a regolare le vele
di Alfonso Tortora

- A sua immagine? Figli di Dio con disabilità.
di Katiuscia Betti

◼︎SPECIALE - Deistituzionalizzazione e inclusività:
questione aperta per le persone con disabilità grave

- Fattori, regole e criteri per creare buone pratiche

- Spingendo la vita più in là …
Riflessioni intorno ad uno specialista in cerca di senso
di Mauro Mario Coppa

- I bisogni e le attese di una famiglia in presenza della disabilità complessa
di Domenico Vaccaro

- I vincoli della reciprocità      
di Francesco Scelzo

- Quali organizzazioni di servizio per favorire
l’inclusione e superare l’istituzionalizzazione   
di Mario Narni Mancinelli

- Scenari territoriali e servizi per persone con disabilità e non autosufficienti
di Ciro Pizzo

- Il “pendolo” dell’inclusività
di Francesco Censon

- Un sogno ambizioso: l’inclusione sociale nell’età adulta.
intervista di Francesco Scelzo e Caterina De Luisi
a Annamaria Canonico e Giancarlo Cursi

- Tra il bisogno di sentirsi parte della comunità
e il desiderio di risposte da parte dello Stato
di Caterina De Luisi

Editoriale

di Francesco Scelzo 

Fare spazio all’altro nella propria casa e nel proprio tempo

editoriale luce e amore 2 2023, Immagine: Il povero, il malato, lo straniero, il carcerato accoglierlo è fargli spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie, nella propria città e nelle proprie leggi.

“…Accogliere il povero, il malato, lo straniero, il carcerato è infatti fargli spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie, nella propria città e nelle proprie leggi. La carità è molto più impegnativa di una beneficenza occasionale: la prima coinvolge e crea un legame, la seconda si accontenta di un gesto”. Sono queste le parole, efficacissime, che leggiamo al numero 39 di “Evangelizzazione e testimonianza della carità – Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per gli anni novanta”; sono parole che andrebbero scritte sulla pietra. Quando si parla o si scrive di inclusione, cosa ci dicono queste parole? Quando si parla e si scrive di solidarietà, di condivisione, di reciprocità, queste parole ci interpellano, trovano spazio? Rimuovere le cause che non facilitano l’inclusione in classe, in parrocchia, nella comunità, di persone che vivono condizioni particolari di vita, per ragioni fisiche come le persone con disabilità, per ragioni sociali come i migranti o i poveri, o per altre ragioni come i carcerati o i disadattati, può ridursi a un gesto?

L’inclusione che coinvolge la persona umana esige una dinamica relazione a contenuto di elevata significatività sociale, esige l’ospitalità, l’aprire la porta di “casa”. Nell’antichità l’ospitalità era considerata, come comunemente si dice, sacra, aveva cioè un significato profondo, era un vincolo; era un vero e proprio patto, una alleanza. Il patto viene sottoscritto e concordato in un testo, viene espresso con dei simboli che rinviano al significato della relazione ospitale. Lo stesso termine “simbolo”, che deriva dal verbo greco synballein che sta per “porre insieme”, “collegare”, “mettere insieme”, evoca un legame significativo; la croce per i cristiani, e per tutti, è un simbolo che evoca un legame di fraternità e di relazioni verticali e orizzontali; tutti i simboli rinviano a un significato. Lo stesso Credo, che raccoglie i contenuti essenziali di fede della comunità cristiana, viene definito simbolo, e quello dell’età degli Apostoli, simbolo apostolico.

“Coinvolgere e costruire legami” nelle relazioni umane ci chiede di essere ospitali, “è infatti fargli spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie, nella propria città e nelle proprie leggi”.

Il coinvolgere e il costruire sono azioni proprie dell’uomo libero e forte, protagonista della storia; la persona umana, pertanto, sia come singolo che come comunità, è chiamata a costituire vincoli e patti di ospitalità con gli altri in famiglia, a scuola, in parrocchia, nel quartiere, nella città. I cittadini protagonisti della vita pubblica sono chiamati a organizzare lo Stato e, perciò, a promuovere leggi ispirate all’ospitalità. Solo comunità ospitali e città aperte e ospitali saranno contesti inclusivi per tutti e, perciò, anche per i migranti, i poveri e per le persone con disabilità lievi, gravi, gravissime.

“Costruire contesti inclusivi” significa coinvolgere e costruire legami e ciò anche in presenza della disabilità complessa o disabilità molto grave. 

L’inclusione di una persona disabile non si può risolvere nella eliminazione delle barriere architettoniche, degli ostacoli fisici o del superamento degli ostacoli di comunicazione, che pure sono premessa necessaria, ma richiede azioni di elevata significatività sociale che coinvolgano la persona con disabilità e la includano in un contesto di legami significativi. L’inclusività va perseguita, in primo luogo, in famiglia prima che nelle altre realtà, ma ciò è possibile in un nuovo Umanesimo da riscoprire, così come si è proposta la Chiesa Italiana nel Convegno di Firenze del 2015.  

Solo l’uomo “a Sua immagine”, a immagine di Dio, dando a questa  espressione un valore meramente antropologico e riconoscendo cioè  all’uomo la sua capacità e vocazione a concorrere alla costruzione  e allo sviluppo della storia, può coinvolgere e costruire legami in  virtù dell’energia interiore, spirituale; solo l’uomo capace di “ego cum”, che si coglie cioè in dinamica relazione solidale con l’intera  umanità, che si definisce non come individuo ma come singolo  di una comunità e parte di essa, è uomo capace di libertà e non  è definibile come cieca necessità e va oltre l’“ego sum”, criterio  fondante l’antropologia della modernità e dell’Umanesimo del  nostro tempo. Costruire contesti inclusivi è il destino dell’uomo, immerso nella storia e dinamicamente e liberamente in relazione con l’intera comunità degli uomini.

 

 

LA PAROLA E LA VITA

L’ospitalità vera. Accogliere le “pietre di scarto.

di don Alfonso Giorgio

Immagine: Acqua che scorre limpida da una sorgente.

 

Il rapporto annuale sulla “Giornata del dono”, istituita nel 2015, mentre registra alcune battute di arresto circa il circuito di donazioni da parte di enti, organizzazioni pubbliche, e altri, in maniera inversamente proporzionale evidenzia nel 2022 segnali positivi circa le organizzazioni non profit, nonostante l’instabilità socio-economica dovuta prevalentemente alla pregressa situazione pandemica e alle incertezze geo-politiche connesse alla guerra in Ucraina. L’indagine, curata dall’Istituto Italiano della Donazione sull’andamento delle raccolte fondi, registra infatti un incremento del 12% rispetto al 2020; si tratta di un aumento di tre punti percentuali circa la quota delle donazioni da parte di coloro che hanno effettuato almeno una donazione non formale, cioè non agganciata a enti non-profit: cresce dal 33% al 36%. I dati raccolti dall’Istat confermano che, nonostante la continua diffusione di una cultura individualista, il cuore dell’uomo rimane ancora aperto al dono. Cosa significa donare? Perché doniamo? Cosa vuol dire dono? Alcuni sostengono che donum derivi dalla radice ittita “deh”, che significa “accettare”, in greco didomi, “dare”; donum è, quindi, “l’oggetto che si dona”. Dono significa, dunque, semplicemente dare, dare gratuitamente: senza scambio, senza contro-dono, senza creazione del debito, senza una automatica reciprocità; non c’è dono autentico senza gratuità. Se andiamo alla radice del messaggio cristiano, l’essenza stessa del Vangelo sta nell’annuncio non solo di un amore che vince la morte, ma anche di un amore che è gratuito, chiamato per questo “grazia”. La grazia – chen in ebraico, cháris in greco, gratia in latino – è benevolenza, amore, favore non necessariamente meritato, un amore preveniente che Dio riversa gratuitamente, misterioso, impensabile da un punto di vista umano. Si tratta di un amore gratuito che ci raggiunge, anche se ci trovassimo in una condizione di diniego della Fede, ancor prima che facciamo qualcosa per meritarlo: qui sta la radice di ogni dono; i doni che possiamo fare, o essere gli uni per gli altri, si radicano proprio nella Grazia di Dio che è gratis. In una società come la nostra, fondata sull’utile sia da un punto di vista economico che da un punto di vista dell’efficienza o del rendimento delle strutture e ancor più delle persone, il dono si fa ancora strada: tutto ciò che vale veramente non si può comprare, lo si può solo ricevere in dono. Non posso comprare l’amore di una persona; non ha prezzo. Tutte le volte che una persona compra qualcosa che fa bene alla vita, ma non può essere prezzata, inevitabilmente cade nella frustrazione e nello sconforto. La gratuità, infatti, è sganciata dalla logica commerciale per la quale tutto ciò che è in-utile – come potrebbe essere pensato di una persona inchiodata su una carrozzina, di un bambino che assorbe solo tempo senza profitti, di un disagiato, di un vecchio- non porta utile e quindi non rientra in questa dinamica efficientista e arricchente su un piano economico-sociale. Se però consideriamo attentamente il senso stesso della parola “inutile”, ci accorgiamo che non deve essere considerata solo da un punto di vista negativo. L’enciclopedia Treccani parla di inutilis (dal latino), cioè qualcosa che non da vantaggio, senza utile, per cui potremmo dire “senza un ritorno economico”. Il dono è propriamente senza un ritorno economico, è “inutilis”, senza vantaggio; il dono non avrebbe motivo di essere per una società fondata sull’utile proprio perché per essa non conseguirebbe un vantaggio economico. In questa società, infatti, ai volontari o ai donatori spesso si indirizzano, come ritornello, come una sveglia, espressioni quali “chi te lo fa fare?” o “che vantaggio ne trai?”; in effetti, è così, non vi è nessun vantaggio perché il dono non ha prezzo. Circa il “chi” si può sempre dare una risposta, anche se ognuno parte da quelle che sono le proprie convinzioni personali. È chiaro che per i credenti il “Chi” deve avere una lettera maiuscola; per i cristiani è Gesù che ispira il dono, giacché Egli stesso si è fatto dono per noi attraverso quell’“admirabile commercium”, come ricordiamo frequentemente nella Liturgia, prendendo la nostra povertà e offrendoci la Sua ricchezza, ha preso la nostra morte e ci ha dato la Sua vita con la Sua Resurrezione dai morti, ha preso il nostro dolore e ci ha dato la sua gioia. Questo admirabile commercium, questo grande Mistero ci fa comprendere che il grande dono per noi è Dio stesso; è Lui stesso il dono. La grazia, che è salvezza, è, prima di essere qualcosa di Dio - spesso immaginiamo la grazia come un fluido divino che viene in noi mentre Dio rimane intatto nel cielo - proprio il Dio vivente che entra nella vita dell’uomo (Cfr. M. Magrassi, Maria stella su nostro cammino, Ediz. La Scala, Noci 1996, pag. 63). Noi cosa possiamo fare dinanzi a questo grande dono se non accoglierlo? In estrema sintesi cosa possiamo dire dell’uomo? Quale deve essere il suo cammino in questo mondo? Prima ancora di parlare di cammino dell’uomo, è bene pensare che vi è il cammino di Dio che viene incontro a noi; è Dio che si rende presente nella vita degli uomini, Lui che si è fatto dono ai poveri, ci invita particolarmente a riconoscerLo in loro: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete ospitato, ero nudo e mi avete vestito” (Mt 25). All’uomo spetta di scegliere di intraprendere questo cammino. Dio ci invita al dono, a donare ma, ancor più, ad essere dono gli uni per gli altri poiché non c’è nessuno che possa affermare: “io non ho nulla da dare”. Il cammino dell’uomo, di ogni creatura umana si caratterizza per l’accoglienza di questo dono. Se ci pensiamo attentamente, l’uomo è essenzialmente accoglienza del dono. Una persona sola con se stessa, chiusa nei propri affari e nelle proprie convinzioni, non realizza l’essere dell’uomo, non vive. Siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore che è vita, che è donare la vita. Vivere indifferenti davanti al dolore dell’altro, davanti al dono che è l’altro non è una scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno rimanga “ai margini della vita” (Cfr. Francesco, Fratelli tutti, n. 68). Gesù risorgendo dai morti ci dona una vita nuova e nutre in noi una nuova speranza: in questa vita siamo felici solo quando accogliamo il dono, doniamo e diventiamo anche noi, come il Risorto, dono di vita per gli altri.

 

In copertina l'immagine mostra un albero sullo sfondo del pianeta Terra per mostrare come il rispetto della natura possa essere l'unica speranza per il futuro del nostro pianeta.

“Dare speranza e futuro” 

Luce e Amore Anno LXXIII - N. 1 Gennaio/Marzo 2023
Pubblicazione trimestrale del Movimento Apostolico Ciechi

 

“Cominciate col fare
ciò che è necessario,
poi ciò che è possibile
e all’improvviso
vi sorprenderete
a fare l’impossibile.”  

San Francesco d'Assisi 

 

 

 

 

SOMMARIO

◼︎EDITORIALE

- Dono e diritti.
di Francesco Scelzo 

◼︎LA PAROLA E LA VITA

- L’uomo è accoglienza del dono.
di don Alfonso Giorgio

◼︎InFORMAZIONE e ...

- Una agenda politica e di impegno per tutti
Il messaggio del Papa per la 56a giornata Mondiale della Pace.
di Paolo Beccegato

-Oltre i sensi
Un evento per celebrare la Giornata Nazionale del Braille 
di Katiuscia Betti

- Scrittura e lettura con i caratteri Braille
Pericolo di accantonamento e attualità.
di Francesco Censon

- Studenti protagonisti di un interessante progetto.
di Caterina De Luisi

◼︎Pagina dopo Pagina – Libri in vetrina

- Uomo, spiritualità e responsabilità nell’era digitale in un libro di Giannino Piana
di Francesco Scelzo 

- L’esperienza della perdita e la nostalgia che apre alla speranza nell’ultimo libro di Recalcati
di Domenico Vaccaro 

◼︎SPECIALE - Da 10 anni pellegrino di fraternità e di pace
Stile e contenuti dei viaggi di papa Francesco

-Una commossa testimonianza di don Dante Carraro
di Francesco Scelzo

- Il viaggio luogo per il magistero dei Papi
di Fabio Zavattaro

Il dialogo interreligioso via per la pace universale, 
  per la fratellanza, per l’affermazione dei diritti umani  
di Lucio Sembrano

- Il grido per la pace di un affaticato “costruttore di ponti” 
  L’Africa parla al mondo nel magistero di papa Francesco
di Angelo Scelzo 

- Dare dignità La chiave dei viaggi di papa Francesco
di Angela Ambrogetti

◼︎PROMOZIONE SOCIALE IN ITALIA

- Premio don Brugnani. I vincitori del 2022.
di Michela De Rosa

- Stanchi dei poveri? La Chiesa di Bergamo si interroga 
  sulle povertà e una proposta ai giovani 
di Giuseppina Rota

◼︎COOPERAZIONE TRA POPOLI E PROGETTI 

- Un interessante progetto di avviamento al lavoro
di Flavio Fogarolo

- Una sorprendente e significativa esperienza 
di Caterina De Luisi Carmela Sica

◼︎RACCONTI DAL TERRITORIO

- Milano – Un concerto a sostegno dei progetti del MAC
di Carla Casnedi

- Molfetta – Celebrazione in memoria di don Franco
di Tonino Pisani

- Ragusa – Nasce il gruppo MAC
di Chiarina Corallo

- Reggio Emilia – All’incontro formativo 
   interviene don Matteo, prete, fisico e ricercatore 
di Davide Delmonte

- Treviso – Celebrata Santa Lucia
di Roberto Tonini

- Venezia – Pellegrinaggio alla Madonna della Salute 
   e festa di Santa Lucia 
di Luigi Saccoman

Editoriale

di Francesco Scelzo 

Dono e diritti

editoriale luce e amore 1 2023, Immagine: Padre e figlio piantano un albero come atto di consegna generazionale dell'amore per la natura.

L’uomo è tema centrale in tutti i tempi; oggi è divenuta questione essenziale. Negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso spesso si parlava di svolta antropologica, tema che è stato posto al centro del Convegno Nazionale dei Vescovi Italiani che si è tenuto a Verona nel 2006, tema che si è riproposto nel successivo Convegno della Chiesa Italiana di Firenze nel 2015 nel quale la Chiesa si è interrogata su un nuovo umanesimo, tema che ricorre in molte pubblicazioni di psicologi o filosofi. L’irruzione nella storia delle tecnologie avanzate, come era già accaduto nel 1800 per l’introduzione delle macchine nelle attività umane, diviene sempre più interrogativo pressante per l’uomo che si interroga sulla propria essenza, sulla propria presenza nel mondo, sul proprio destino. È forte la tentazione di immaginare, di pensare a un “superuomo”. Il tema del rapporto dell’uomo con le macchine è stato sempre problematico: se da un lato la macchina è colta come un danno per l’uomo che perde parte di potere (si riducono gli spazi di lavoro, si creano situazioni di rischio, di incidenti), dall’altro la macchina viene colta come un moltiplicatore, un’opportunità per incrementare il proprio potere sulla realtà e sugli altri (ciò accade soprattutto nell’era digitale e delle tecnologie).

L’uomo nell’era digitale

Riferendosi alla “folla plaudente” di coloro che con entusiasmo si iscrivono tra i sostenitori di un uomo biotecnologico, Gianfranco Ravasi di questa scrive che è: “erede forse inconsapevole dell’oracolo dello Zarathustra di Nietzsche che, già nel 1883, preconizzava la nascita di una nuova bella specie di uomini superiori”. L’opera di Nietzsche viene pubblicata nel pieno sviluppo della seconda rivoluzione industriale, quando vengono introdotte le macchine nelle fabbriche, di cui alcuni ne erano entusiasti e altri si opponevano energicamente. Su questo tema ha scritto, recentemente, Giannino Piana, teologo morale, che propone una lettura dell’era digitale e del “mediantropo”, uomo della comunicazione e dei social, tenendo fisso lo sguardo all’antropologia, all’etica e alla spiritualità. La questione uomo è sempre più una questione, insieme, antropologica, etica e spirituale; è impossibile scrivere dell’uomo rinunciando a una di esse.

L’era digitale e l’applicazione delle tecnologie avanzate costringono l’uomo a interrogarsi sulla sua essenza e sul suo agire, essendo egli il soggetto attivo del loro utilizzo. 
Il tema e l’interrogativo affondano le radici in tempi lontani: l’Umanesimo, periodo di passaggio tra l’età medievale e l’età moderna. L'antropocentrismo dell’Umanesimo precede e pone le premesse dell’età moderna e la questione antropologica diviene centrale.

Dall’antropocentrismo alla soggettività come ragione di se stessa. 

Cos’è la libertà? Cos’è e in cosa consiste il potere dell’uomo? 

Queste domande, nate nell’Umanesimo, si trasformano nell’età moderna nel pressante imperativo per l’uomo, tipico di questa civiltà: “sii potente”. A questo imperativo si aggiunge la frattura cartesiana tra pensiero ed estensione, tra soggettività e realtà e farà dell’uomo il signore indipendente e misura della realtà. 

Il pensiero inglese, inevitabilmente e successivamente, prima con Bacone e poi con Locke, disegnerà l’uomo libero e potente che trova in se stesso e nella sua soggettività la ragione della sua libertà e del suo potere. Con il pensiero liberale del filosofo inglese John Locke, che individuava come diritti dell’uomo il diritto alla vita e il diritto alla libertà, ben consapevole che la vita è la manifestazione, l’espressione della libertà, la civiltà moderna si caratterizzerà come la civiltà dei diritti. Su questi principi lockiani si innesterà tutta la cultura dei diritti, sia politici, sia civili, sia sociali, sia umani di cui oggi tanto si discute e che nessuno di noi contemporanei ritiene di doverne fare una valutazione, una riflessione critica. È vero che la civiltà dei diritti ha consentito lo sviluppo della democrazia e della emancipazione dell’uomo ma, contemporaneamente, ha condotto lentamente l’uomo alla convinzione, già annunziata dallo Zarathustra nietzschiano, di poter essere “superuomo”, realtà indipendente e dominante sia sul creato sia sugli altri. 

Libertà, diritti e negazione di etica e spiritualità.

Tale convinzione si è maturata nel tempo; dopo la visione liberale dell’uomo di Locke, si è arrivati alla visione illuministica di un uomo che doveva innanzitutto emanciparsi dai vincoli della religione, per arrivare all’uomo amorale di Nietzsche e all’uomo “materiale” di Marx: per Marx l’uomo doveva liberarsi dal concetto di creazione per essere indipendente e libero, non più schiavo. Emancipazione dell’uomo ha significato, perciò, negazione di ogni vincolo; l’affermazione della civiltà dei diritti ha significato la negazione della spiritualità e dell’etica, ove spiritualità significa rinvio a un orizzonte che è oltre il materiale e etica è rinvio all’essere con l’altro, all’essere comunità. È possibile parlare dell’uomo solo nella prospettiva dell’antropologia, negando etica e spiritualità? La civiltà dei diritti deve necessariamente escludere spiritualità ed etica? Libertà e vita possono essere considerate diritti fondamentali dell’uomo? Libertà e vita dove trovano il fondamento della loro origine? Con esse, tutti i diritti umani, ampiamente condivisi e da tutti celebrati, dove trovano la ragione della loro essenza e il

fondamento del loro essere?

I diritti umani, come i diritti civili e sociali e i diritti politici, sono declinazioni della libertà dell’uomo e della sua possibilità di vivere. Libertà e vita, perciò, sono a fondamento di tutti gli altri diritti; il diritto alla salute, il diritto all’istruzione e tutti gli altri diritti sociali e civili oltre che politici, sono un’esplicitazione dell’unica fondamentale dimensione dell’essere umano: la libertà.

L’essenza dell’uomo e il significato di libertà.

Il filosofo francese Jean-Luc Nancy, che si è speso molto sul tema della libertà, scrive: “Se non pensiamo l’essere stesso, l’essere dell’esistenza abbandonata, o l’essere dell’essere-nel mondo come ‘libertà’ (e forse libertà come una libertà e una generosità più originaria di ogni libertà) siamo condannati a pensare la libertà come un’idea e come un ‘diritto’ puri, per concepire in compenso l’essere-nel-mondo come una necessità assolutamente cieca e ottusa” (L’esperienza della libertà).

Per non essere una necessità cieca e ottusa, cosa deve essere l’uomo, “l’essere-nel-mondo”? Se la libertà non può essere pensata come un’idea e come un diritto puri ma è “l’essere-nel mondo come una libertà e una generosità più originaria di ogni libertà”, cos’è “l’essere-nel-mondo”? Cosa significa che “l’essere dell’essere-nel-mondo” non può che essere pensato come libertà?

Cosa significa la meravigliosa espressione di papa Francesco ‘la realtà precede sempre l’idea’?

La riflessione di Nancy ci conferma che l’uomo moderno è approdato a una concezione della libertà come diritto puro e, di conseguenza, dell’uomo come una cieca necessità. Ciò è conseguenza della convinzione, propria della civiltà moderna, che ha voluto affrancare l’uomo da ogni “dipendenza”, da ogni “vincolo”: l’uomo è ragione di se stesso. Il pensiero dell’ultimo secolo ha creduto che la proclamata morte di Dio, proclamata nella seconda metà dell’Ottocento, fosse, ed è, un dato acquisito.

La morte di Dio libera l’uomo “come una libertà e una generosità più originaria di ogni libertà”, finendo così per essere egli stesso una cieca necessità e la libertà “puro diritto”.

La libertà è l’espressione e la linfa della vita, è la vita stessa; in questo senso va inteso il pensiero di papa Francesco, per cui la concretezza, la quotidianità è il luogo in cui si costruiscono le nostre visioni, le nostre definizioni e non viceversa: l’uomo è realtà storica, è vita. Cos’è la vita? Cosa significa che la vita è un bene indisponibile? Dove trova la sua origine? Questa è questione essenziale per definire e immaginare chi è l’uomo e quale è la sua essenza. Se l’uomo si esprime nella sua esistenza, e l’esistenza è l’esplicazione e il dispiegamento della libertà, è cioè la vita, quale è la sua essenza? Da dove viene? Può essere semplicemente un elemento di un sistema meccanicistico, una cieca necessità?

Possiamo immaginarlo frutto di un atto libero?

Queste domande trovano risposta in una cultura non dei diritti, bensì del dono. La vita e la libertà non possono essere diritti puri, perché sono dono. Anche se ci si volesse limitare a una visione della vita semplicemente meccanicistica, l’uomo nasce comunque da un atto libero di un altro uomo, di un uomo e di una donna, comunque sia stato generato; nessuno ha la possibilità di essere all’origine della propria vita, di essere ragione di se stesso, origine della propria esistenza. Il dono ripropone e afferma con forza la “dipendenza” dell’uomo, implica ed esige una relazione tra due, tra chi offre e chi riceve il dono; non è possibile in questa prospettiva, nella prospettiva del dono, pensare all’uomo come ragione di se stesso, come fonte dei propri diritti. La vita è un dono, perché esige che sia originata e, perciò, trasmessa ad altri in un sistema di relazioni; ha origine dalla relazione. La vita, pertanto, non può essere considerata un diritto del soggetto e se essa è, come è, il dispiegarsi della libertà, anche la libertà non è un diritto soggettivo.

La civiltà del dono e l’uomo come relazione.

La civiltà moderna, la civiltà dei diritti è un progetto politico, una modalità di organizzazione della vita, un modo di intendere la qualità della vita dell’uomo. Mai può essere criterio per la definizione dell’ “essere dell’essere-nel-mondo” , della libertà perché inevitabilmente conduce all’arbitrio, al soggettivismo, all’individualismo e, spesso, al narcisismo e al relativismo che caratterizzano l’uomo del nostro tempo.

La civiltà del dono è il progetto dell’uomo, realtà in relazione sospesa tra vincoli e possibilità, tra fragilità e libertà; il dono rinvia all’uomo nella prospettiva che Jean-Luc Nancy definisce “ego cum”, senza voler eliminare l’ego sum cartesiano che è all’origine della civiltà moderna. L’ego cum, l’uomo in relazione è realtà dipendente dal sistema delle relazioni, non esclusa la relazione con “l’Altro”; è realtà storica immersa nel mondo e insieme realtà spirituale, perché dotato della possibilità di governare il mondo, di esercitare la responsabilità. Il dono postula la responsabilità e rinvia a una realtà bi-univoca o pluri-polare. La questione uomo non si risolve, perciò, solo nell’antropologia ma, come propone Giannino Piana, va condotta una lettura che tenga lo sguardo fisso alla costellazione triadica dell’antropologia, dell’etica e della spiritualità.

Il vivere e l’essere libero definiscono l’essere dell’uomo nel mondo; sono la sua fonte, la sua scaturigine. Sono beni indisponibili e, perciò, come scriverebbe Epitteto, non in potere dell’uomo e, perciò, semplicemente dono. I diritti, i diritti umani, sociali e civili, esigono la responsabilità, la scelta e la decisione; sono in potere dell’uomo e, perciò, sono il dispiegamento del vivere e dell’essere libero. Il dono precede i diritti.

 

 

LA PAROLA E LA VITA

L’uomo è accoglienza del dono

di don Alfonso Giorgio

Immagine: Giotto - San Francesco dona il suo mantello ad un povero.

Il rapporto annuale sulla “Giornata del dono”, istituita nel 2015, mentre registra alcune battute di arresto circa il circuito di donazioni da parte di enti, organizzazioni pubbliche, e altri, in maniera inversamente proporzionale evidenzia nel 2022 segnali positivi circa le organizzazioni non profit, nonostante l’instabilità socio-economica dovuta prevalentemente alla pregressa situazione pandemica e alle incertezze geo-politiche connesse alla guerra in Ucraina. L’indagine, curata dall’Istituto Italiano della Donazione sull’andamento delle raccolte fondi, registra infatti un incremento del 12% rispetto al 2020; si tratta di un aumento di tre punti percentuali circa la quota delle donazioni da parte di coloro che hanno effettuato almeno una donazione non formale, cioè non agganciata a enti non-profit: cresce dal 33% al 36%. 

I dati raccolti dall’Istat confermano che, nonostante la continua diffusione di una cultura individualista, il cuore dell’uomo rimane ancora aperto al dono. Cosa significa donare? Perché doniamo? Cosa vuol dire dono? 

Alcuni sostengono che donum derivi dalla radice ittita “deh”, che significa “accettare”, in greco didomi, “dare”; donum è, quindi, “l’oggetto che si dona”. Dono significa, dunque, semplicemente dare, dare gratuitamente: senza scambio, senza contro-dono, senza creazione del debito, senza una automatica reciprocità; non c’è dono autentico senza gratuità. Se andiamo alla radice del messaggio cristiano, l’essenza stessa del Vangelo sta nell’annuncio non solo di un amore che vince la morte, ma anche di un amore che è gratuito, chiamato per questo “grazia”.

La grazia – chen in ebraico, cháris in greco, gratia in latino – è benevolenza, amore, favore non necessariamente meritato, un amore preveniente che Dio riversa gratuitamente, misterioso, impensabile da un punto di vista umano. Si tratta di un amore gratuito che ci raggiunge, anche se ci trovassimo in una condizione di diniego della Fede, ancor prima che facciamo qualcosa per meritarlo: qui sta la radice di ogni dono; i doni che possiamo fare, o essere gli uni per gli altri, si radicano proprio nella Grazia di Dio che è gratis.

In una società come la nostra, fondata sull’utile sia da un punto di vista economico che da un punto di vista dell’efficienza o del rendimento delle strutture e ancor più delle persone, il dono si fa ancora strada: tutto ciò che vale veramente non si può comprare, lo si può solo ricevere in dono. Non posso comprare l’amore di una persona; non ha prezzo. Tutte le volte che una persona compra qualcosa che fa bene alla vita, ma non può essere prezzata, inevitabilmente cade nella frustrazione e nello sconforto. La gratuità, infatti, è sganciata dalla logica commerciale per la quale tutto ciò che è in-utile– come potrebbe essere pensato di una persona inchiodata su una carrozzina, di un bambino che assorbe solo tempo senza profitti, di un disagiato, di un vecchio- non porta utile e quindi non rientra in questa dinamica efficientista e arricchente su un piano economico-sociale. Se però consideriamo attentamente il senso stesso della parola “inutile”, ci accorgiamo che non deve essere considerata solo da un punto di vista negativo. L’enciclopedia Treccani parla di inutilis (dal latino), cioè qualcosa che non da vantaggio, senza utile, per cui potremmo dire “senza un ritorno economico”. Il dono è propriamente senza un ritorno economico, è “inutilis”, senza vantaggio; il dono non avrebbe motivo di essere per una società fondata sull’utile proprio perché per essa non conseguirebbe un vantaggio economico. In questa società, infatti, ai volontari o ai donatori spesso si indirizzano, come ritornello, come una sveglia, espressioni quali “chi te lo fa fare?” o “che vantaggio ne trai?”; in effetti, è così, non vi è nessun vantaggio perché il dono non ha prezzo. Circa il “chi” si può sempre dare una risposta, anche se ognuno parte da quelle che sono le proprie convinzioni personali. È chiaro che per i credenti il “Chi” deve avere una lettera maiuscola; per i cristiani è Gesù che ispira il dono, giacché Egli stesso si è fatto dono per noi attraverso quell’“admirabile commercium”, come ricordiamo frequentemente nella Liturgia, prendendo la nostra povertà e offrendoci la Sua ricchezza, ha preso la nostra morte e ci ha dato la Sua vita con la Sua Resurrezione dai morti, ha preso il nostro dolore e ci ha dato la sua gioia. 

Questo admirabile commercium, questo grande Mistero ci fa comprendere che il grande dono per noi è Dio stesso; è Lui stesso il dono. La grazia, che è salvezza, è, prima di essere qualcosa di Dio - spesso immaginiamo la grazia come un fluido divino che viene in noi mentre Dio rimane intatto nel cielo - proprio il Dio vivente che entra nella vita dell’uomo (Cfr. M. Magrassi, Maria stella su nostro cammino, Ediz. La Scala, Noci 1996, pag. 63). 

Noi cosa possiamo fare dinanzi a questo grande dono se non accoglierlo? In estrema sintesi cosa possiamo dire dell’uomo? Quale deve essere il suo cammino in questo mondo? 

Prima ancora di parlare di cammino dell’uomo, è bene pensare che vi è il cammino di Dio che viene incontro a noi; è  Dio che si rende presente nella vita degli uomini, Lui che si è fatto dono ai poveri, ci invita particolarmente a riconoscerLo in loro: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete ospitato, ero nudo e mi avete vestito” (Mt 25). All’uomo spetta di scegliere di intraprendere questo cammino. Dio ci invita al dono, a donare ma, ancor più, ad essere dono gli uni per gli altri poiché non c’è nessuno che possa affermare: “io non ho nulla da dare”. Il cammino dell’uomo, di ogni creatura umana si caratterizza per l’accoglienza di questo dono. Se ci pensiamo attentamente, l’uomo è essenzialmente accoglienza del dono. 

Una persona sola con se stessa, chiusa nei propri affari e nelle proprie convinzioni, non realizza l’essere dell’uomo, non vive. Siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore che è vita, che è donare la vita. Vivere indifferenti davanti al dolore dell’altro, davanti al dono che è l’altro non è una scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno rimanga “ai margini della vita” (Cfr. Francesco, Fratelli tutti, n. 68). Gesù risorgendo dai morti ci dona una vita nuova e nutre in noi una nuova speranza: in questa vita siamo felici solo quando accogliamo il dono, doniamo e diventiamo anche noi, come il Risorto, dono di vita per gli altri.

La foto di copertina rappresenta un sentiero illuminato da una stella cometa in una notte buia

“Nella notte orientati dalla Luce” 

Luce e Amore Anno LXXII - N.4 Ottobre/Dicembre 2022
Pubblicazione trimestrale del Movimento Apostolico Ciechi

“In una comunità inclusiva ciascuno
percorre un proprio cammino di
conversione. Riconoscendo i propri
limiti e fragilità, si è portati a
camminare a fianco degli altri senza
sentirsi superiori, inferiori o diversi,
ma fratelli e compagni di viaggio.” 

(Dal documento “La Chiesa è la nostra casa”
curato dal Dicastero della Santa Sede
per i Laici, la Famiglia e la Vita)

 

 

 

SOMMARIO

◼︎EDITORIALE

- Orientarsi nella notte.
di Francesco Scelzo 

◼︎LA PAROLA E LA VITA

- Un nuovo Natale per lavorare insieme a Gesù, prima pietra dei nostri cantieri.
di don Alfonso Giorgio

◼︎InFORMAZIONE e ...

- Un popolo in cammino per dare un’anima all’economia.
di Maria Gaglione 

- Festival della Missione, per riprendere fiato, per dare voce …
di Francesca Di Maolo

- La missione dei crocicchi e delle piazze.
di Antonella Del Grosso

- Cammino comune delle Chiese e processo di pacificazione in Ucraina.
di Ferruccio Ferrante

- Ucraina. Crisi umanitaria e filoni di intervento.

- Cristiani per le pace 

◼︎SPECIALE - Il Sinodo dei Vescovi 2022 - 2023

- Il Sinodo dei Vescovi. Istituzione e definizione

- Le tematiche delle assemblee sinodali

- Le tematiche del cammino sinodale

- Il Cammino sinodale della Chiesa italiana
di Erio Castellucci

- Ascoltarsi per dire qualcosa alla Chiesa e sulla Chiesa
di Lucia Capuzzi

Di ascolto in ascolto, i cantieri di Betania di Chiara Griffini

- Identità e missione della Chiesa di Lodi: una riflessione al femminile
di Katiuscia Betti

- Un punto di vista differente
di Vittorio Scelzo

◼︎PROMOZIONE SOCIALE IN ITALIA

- 27a sessione del Comitato sui diritti delle persone con disabilità
di Giampiero Griffo

- Terzo Settore: equivoci e opportunità
di Francesco Scelzo

◼︎COOPERAZIONE TRA POPOLI E PROGETTI 

- MAC sempre più verso un lavoro in rete
di Violetta De Filippo

- Chiedono solo di poter studiare!
di Flavio Fogarolo

- Educational Support per i profughi di guerra a Damour
di Pamela Speranza

◼︎RACCONTI DAL TERRITORIO

- Sesto Calende: il MAC incontra il Centro Studi Angelo dell’Acqua 
di Cristina De Bernardi

-Assisi – consegnato il Premio Munoz  
di Marco Naticchi

- Modena – in memoria di Ida
di Maria Vittoria Testa

Editoriale

di Francesco Scelzo 

Orientarsi nella notte

editoriale luce e amore 4 2022, Immagine L’infanzia di Cristo, Gerrit van Honthorst,1620 circa, Hermitage, San Pietroburgo

È Natale.
La solenne celebrazione cristiana che ricorda la nascita a Betlemme di Gesù, figlio di Giuseppe e Maria che vivono a Nazareth e che si sono recati in Giudea per il censimento indetto dall’imperatore, è un momento di riflessione per ogni uomo; è ancora un evento comunitario. Conserva ancora significati universalmente condivisi e profondi, espressi dai simboli dell’andare insieme, della luce e soprattutto della notte, simboli universali di significato per tutti gli uomini, per la condizione di ogni uomo. Le città si vestono a festa scegliendo giochi di luci e artistiche luminarie; le persone e le famiglie vivono la festa come un momento di incontro e di gioia comunitaria benché le forme siano molteplici e differenti. Tutto ciò perché accade? Perché accade ancora mentre la motivazione spirituale e religiosa sembra affievolita? Perché il presepe e l'albero rimangono segni suggestivi anche in questo tempo?

L’uomo fa esperienza della propria condizione di limite e di finitudine e contestualmente fa esperienza della possibilità di essere e di andare oltre questa sua propria condizione; l’uomo è libero, capace di costruire la storia, ma fa esperienza inevitabile di fallimenti, sia come singolo sia come popolo o come comunità. Mai, negli ultimi tempi, come negli ultimi trenta mesi, l’uomo ha sperimentato il limite e la frustrazione: un piccolo virus è sembrato capace di distruggere l’umanità; strane ragioni hanno spinto un uomo ad avviare in Europa una guerra incredibile, provocando distruzione e morte per tutti senza alcun significato. Mentre nel mondo si raggiunge la popolazione di 8 miliardi, sperimentiamo tensioni incomprensibili tra popoli e Stati; la migrazione dei popoli diventa sempre più ampia ed appare sempre più una questione difficile da governare: la paura sollecita l’erezione di muri e di steccati. L’economia e la politica non sembrano curare il bene comune ma l’interesse di pochi che diventano sempre più ricchi a danno di molti sempre più poveri. Ci sono nel mondo pochissime persone che posseggono incomprensibili quantità di beni mentre la gran parte vive in condizione di povertà estrema, migra a motivo di guerre e conflitti incomprensibili, abbandona beni e affetti.

In questo contesto i simboli che ricordano la nascita di Gesù conservano con forza tutto il loro significato: la notte si apre al giorno, la luce illumina i passi nella notte e gli uomini si muovono insieme verso una meta. I pastori, un gruppo sociale del tempo, forse il gruppo sociale che rappresentava l’umanità di allora, si muovono per andare verso una grotta, una stalla, un locale di fortuna dove hanno trovato ricovero Maria e Giuseppe e dove nasce un bambino; un gruppo di saggi, tre re Magi, in rappresentanza del mondo di allora, si mettono in cammino insieme seguendo una stella che appare all’orizzonte e indica un percorso; nella notte accade l’evento della nascita e si accende una luce, forse un piccolo fuoco per riscaldare; nella notte si alza nel cielo una stella per orientare il cammino. La luce orienta i passi dei pastori, i passi dei Magi, i passi di ogni uomo che cammina nella notte.

Al tempo della nascita di Gesù e per il popolo ebraico, la notte è la prima fase della giornata che iniziava con il vespro, con il tramonto. La tradizione ebraica considera la notte l’inizio di un nuovo giorno, la transizione dall’oscurità alla luce.

Questa transizione è un movimento che evoca lo sviluppo, il camminare, l’aprirsi alla novità, all’alba, a un nuovo giorno, a un nuovo anno, a una nuova vita. Celebrare il Natale è celebrare questo sviluppo, questo andare verso la vita attraversando la notte; è il paradigma della vita umana, dell’esistere. I Misteri della fede cristiana sono significati dalla notte: la notte di Natale, la notte del Getsemani, la notte della Resurrezione. I Misteri cristiani sono rivelazione e svelamento dei misteri dell’uomo: l’esistenza umana è una transizione dall’oscurità alla luce, un camminare nella notte orientati da uno spiraglio di luce, da una lampada che illumina i passi, da una stella che orienta il cammino.

La notte del Getsemani, presentata dall’autore Recalcati come “la notte dell’uomo” e La notte, di Elie Wiesel, capolavoro che racconta l’esperienza del campo di sterminio di un ragazzo impotente accanto al padre che si indebolisce e muore sotto i colpi delle percosse, sono due libri che raccontano la condizione umana, della sua esistenza, del suo essere nella notte aperta all’alba del nuovo giorno. Wiesel, in particolare, la racconta come un’esperienza drammatica, come “tragico evento”. Egli scrive: “Voglio far vedere la fine, la finalità del tragico evento. Ogni cosa va verso la fine – l’uomo, la storia, la letteratura, la religione, Dio. Non c’è più nulla. Eppure noi ricominceremo con la notte”.

È vero; l’esistenza umana è un tragico evento, eppure noi ricominceremo con la notte come scrive lo stesso Wiesel. Fare festa per ricordare la nascita di Gesù, per celebrare l’avvento di un nuovo anno, è raccontare questa condizione umana: cominciare e ricominciare dalla notte. L’uomo, avvolto dalla notte, troverà sempre una luce per orientarsi, per andare verso la meta, per andare oltre.

 

 

LA PAROLA E LA VITA

Un nuovo Natale per lavorare insieme a Gesù, prima pietra dei nostri cantieri.

di don Alfonso Giorgio

immagine

Tutta la Chiesa da sempre è in cammino. Non è quindi una novità il fatto che specialmente in questo tempo particolare -dopo le restrizioni dovute alla diffusione del Covid 19 -si riscopra la gioia di ritrovarsi, incontrarsi e confrontarsi. Tra l’altro è noto a tutti il fatto che come Chiesa siamo coinvolti più approfonditamente in un percorso di sinodalità universale. È come se volessimo, un po’ tutti, sollecitati da Papa Francesco, riappropriarci di quello che già siamo realmente: fraternità universale generata e alimentata dalla Grazia di Cristo che vede tutti chiamati ad evangelizzare.

Stiamo attuando, forse senza rendercene conto, una vera e propria conversione pastorale e missionaria secondo il cuore del Vangelo, soprattutto alla luce della forma basilare della sinodalità, ritratta nella metafora ecclesiologica di una “Chiesa in uscita” per cui tutta la Chiesa è una comunità evangelizzatrice, cioè una comunità di discepoli-missionari. È la vocazione sinodale del popolo di Dio e tutto ciò è indicato con accuratezza in quella esortazione apostolica che si pensava destinata a restare sulla carta: l’Evangelii Gaudium.

In un anno, i nostri pastori ci hanno coinvolto in modo quasi capillare in dinamiche di ascolto e accoglienza reciproca dentro e fuori le mura delle nostre realtà ecclesiali. Ora, a partire da quest’anno, ci viene proposto di entrare in una dinamica pastorale nuova chiamata “cantiere”. Si tratta di un termine singolare che percome ha affermato il Card. Matteo Zuppi, Presidente della CEI, nell’introduzione – “è frutto della sinodalità” e “nasce dalla consultazione del popolo di Dio, svoltasi nel primo anno di ascolto (la fase narrativa), strumento di riferimento per il prosieguo del cammino che intende coinvolgere anche coloro che ne sono finora restati ai margini”. Si tratta di “una grande opportunità per aprirsi ai tanti ‘mondi’ che guardano con curiosità, attenzione e speranza al Vangelo di Gesù”.

L’icona biblica che ci viene proposta dal Comitato nazionale fa riferimento all’incontro di Gesù con Marta e Maria, nella casa di Betania, e presenta tre cantieri: quello della strada e del villaggio, quello dell’ospitalità e della casa e quello delle diaconie e della formazione spirituale. Questi cantieri potranno essere adattati liberamente a ciascuna realtà, scegliendo quanti e quali proporre nei diversi territori. A questi, ogni Chiesa locale ed ogni realtà ecclesiale potrà aggiungerne un quarto che valorizzi una priorità risultante dalla propria sintesi diocesana o dal Sinodo che sta celebrando o ha concluso da poco.

Siamo quindi in cantiere. È un’immagine bella che dice continuità, costruzione nuova o rinnovamento delle vecchie strutture. Ma quello che più ci rincuora è che l'immagine del cantiere ci immette in una dimensione di fatica continua ed impegno sinergico, dove tutti sono coinvolti anche se con mansioni e responsabilità diverse; tutti corresponsabili.

Il cantiere prevede materiali e strutture idonee alla costruzione dell'opera. A questo scopo tutti possono contribuire con il proprio ingegno e la propria disponibilità. In questo senso il primo, per così dire, a mettere la “prima pietra” in questo cantiere, senza dubbio, è Gesù; con la Sua venuta sulla terra ci ha donato se stesso, sin dal primo momento, attraverso le braccia materne di Maria e la custodia di Giuseppe. È lui la prima pietra, anzi la “pietra angolare”, di cui Egli stesso ci ha parlato. Ci rasserena quindi il fatto che nessuno può sentirsi escluso da questo “cantiere Infinito”. Grazie a quel bambino nato a Betlemme persino le “pietre di scarto”, i poveri, i reietti e gli esclusi della terra, - cosi come l’amato servo di Dio don Tonino Bello soleva chiamarli - saranno poste al centro, anzi a fondamento del nostro cammino sinodale. Infatti è il mistero del Natale del Figlio di Dio, diventato ‘Figlio dell’uomo’, la ragione dell’accoglienza degli esclusi è il fondamento di una Chiesa sinodale, popolo di figli nel Figlio e, di conseguenza, popolo di fratelli e sorelle, che camminano insieme percorrendo la stessa strada verso la stessa meta. Del resto il Natale, da un punto di vista spirituale, evangelico – che è poi l‘unico modo per viverlo con autenticità -non è una festa che tiene i partecipanti fermi nei loro focolari o davanti ad un monitor per attivare relazioni di tipo solo virtuale, ma un evento che ogni anno viene ricordato e celebrato proprio per capirne in profondità il senso proprio che è fondamentalmente un invito al cammino e l’innesco di un vero e proprio processo di conversione e di accoglienza del Verbo di Dio che unisce i cuori e li invita all’ascolto e alla reciproca accoglienza.

Il racconto evangelico ci ricorda che i pastori andarono insieme alla grotta di Betlemme; i Magi andarono insieme dopo un lungo cammino vissuto insieme; persino gli angeli, dal cielo, andarono alla grotta insieme. Non vi è dubbio, quindi, sul fatto che la venuta di Gesù sulla terra ci ricorda che noi non siamo, per così dire, delle “monadi” che gravitano nello spazio per proprio conto, ma figli di Dio e fratelli e sorelle in Cristo che camminano insieme agli altri, nella gioia dell’incontro fraterno, nella condivisione e nell’ascolto reciproco.

Va detto anche che due anni di pandemia, così come afferma Papa Francesco, così come afferma Papa Francesco, hanno tolto il trucco” su tante situazioni che già risultavano molto compromesse e, con l’isolamento causato dalla diffusione del virus, hanno raggiunto livelli molto preoccupanti. Una di queste “situazioni” esasperate è proprio la “relazione” compromessa da una forte tendenza all’individualismo e all’egoismo. In questo contesto, difficile ma non per questo immodificabile, noi cristiani, che sin dalle origini siamo stati denominati come ‘quelli della via’ (cfr. At 9, 2) - a partire dalla contemplazione e celebrazione del Mistero del Natale - siamo chiamati a metterci in cammino con uno stile sinodale che ci veda tutti impegnati ad attuare il metodo di Dio che nella logica dell’incarnazione è venuto sulla terra ad immedesimarsi nelle gioie e nei dolori degli uomini e delle donne di tutti i tempi, fino a prendere su di sé il carico dell’umanità, specialmente la più abbandonata e povera del mondo.

Tocca a noi adesso, con uno stile pastorale nuovo, fondato principalmente sull’affascinante metodo della corresponsabilità, metterci in ascolto delle domande, degli affanni, delle sfide e dei cambiamenti che il mondo ci mette davanti, con un’attenzione concreta ai più piccoli, agli ultimi, a coloro che non riescono più a camminare o che non hanno mai camminato. Noi saremo – da veri cristiani - quella spalla pronta a sostenere; saremo quella mano che accarezza e consola; saremo il volto che sorride e rincuora; saremo il cuore che ama come Gesù ama noi indistintamente e infinitamente.

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